Lecco, l'ex terrorista Segio: 'oggi mancano eredi di un profeta come Turoldo'

Il terrorista e il profeta. Sergio Segio, oggi 67 anni, nell’epoca buia dei cosiddetti anni di piombo – a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta del secolo scorso – militante dell’organizzazione terroristica di sinistra Prima linea, racconta del suo incontro con padre David Maria Turoldo, il prete “eretico”, il profeta appunto, del quale ricorre il trentesimo anniversario della morte. Anniversario che alcuni degli amici lecchesi del sacerdote (Pierfranco Mastalli, Ezio Lanfranconi, Mariuccia Buttironi) hanno voluto celebrare con una serie di iniziative che vedranno la conclusione nella giornata di oggi, domenica 27 novembre.

Tra le proposte, una tavola rotonda – tenutasi ieri a Palazzo delle paure – che vedeva tra gli ospiti proprio Sergio Segio, collaboratore del Gruppo Abele di Torino e da anni curatore del “Rapporto sui diritti globali”. Accanto a lui, Gianni Tognoni del Tribunale permanente dei popoli, Bruna Dighera del “Tavolo lecchese per la giustizia ristorativa”, Annabella Coiro del Centro di nonviolenza attiva di Milano. Moderatrice, Elza Ferrario del comitato che ha promosso quello che è stato definito l’autunno turoldiano.

Sergio Segio

Arrestato nel 1983 con capi d’accusa pesanti – tra gli altri, l’omicidio dei magistrati Emilio Alessandrini e Guido Galli – Segio tra 1984 e 1985 si trovava in carcere a Milano dove era in corso il processo contro gli appartenenti a “Prima linea”. Furono i mesi delle dichiarazioni sulla fine della “lotta armata”, della consegna delle armi all’arcivescovo ambrosiano Carlo Maria Martini. E furono i mesi in cui padre Davide Maria Turoldo e con lui padre Camillo De Piaz entrarono nella carceri - «dove la speranza diventa scandalo» per usare le stesse parole di Turoldo – a incontrare i terrorsiti.

Il saluto del viceprefetto Laura Motolese

 

«Noi vite sepolte – ha detto Segio – tornavamo a sperare. E fu una fatica quotidiana. Controversa e con molte spinte all’indietro. Nell’incertezza sulla conquista della speranza. E se ci siamo riusciti lo dobbiamo proprio a Turoldo». Ha ricordato l’episodio di un fucile consegnato a De Piaz e ha parlato del senso di gratitudine: «Nel 1989, in carcere a Torino feci un lungo sciopero della fame perché il giudice si rifiutava di farmi accedere al lavoro esterno con il Gruppo Abele come però consentito invece ad altri compagni. Dopo quasi un mese non si vedeva nessuna soluzione. Turoldo decise di mettersi in gioco e incontrò anche il ministri della giustizia (all’epoca il socialista Giuliano Vassalli, ndr) per trovare una soluzione. Dopo l’incontro, Turoldo mi disse di non avere avuto un’impressione positiva perché il ministro non l’aveva guardato negli occhi».

Si tratta di una stagione tragica della nostra storia repubblicana e quelli erano gli anni in cui – come aveva detto poco prima Bruna Dighera – «la società civile si è messa tra lo Stato e i protagonisti della lotta armata» e di questa società civile figure di spicco erano appunto padre Turoldo e il suo “movimento” «che entrando a San Vittore anticiparono i tempi».
Il tema della tavola rotonda era “La sfida della pace” con  evidente richiamo al libro uscito una decina di anni e curato da Elena Gandolfi nel quale erano raccolti gli interventi di Turoldo sull’argomento. E allora, la “sfida della pace” come una sorta di “profezia” declinata in forme diverse.
Tognoni, per esempio, ha ricordato l’impegno di Turoldo nella fondazione di quel Tribunale permanente dei popoli, con l’occhio rivolto all’America Latina, quella del diffondersi della Teologia della Liberazione ma anche delle dittature più spietate contro le quali gli altri Stati non si muovevano se non in casi eccezionali: «E allora occorreva dare a quei popoli un diritto nuovo» visto che il diritto ufficiale non si occupava dei loro destini.

Gianni Tognoni

«Turoldo – ha detto Tognoni – combina una fede assoluta con l’essere la persona più eretica del mondo. Dava cittadinanza e visibilità alle parole proibite. Perché occorre chiamare per nome le diversità, non per essere giudici ma per essere compagni di strada. Per credere in un futuro degli umani che non può permettere l’esclusione. Nei confronti dei migranti, per esempio. Perché se c’è un popolo che non è stato riconosciuto è proprio quello dei migranti. Oggi abbiamo un’Europa che non è scuola di cittadinanza»».
Non c’è pace senza giustizia, il ragionamento. E «se oggi c’è una parola proibita nelle diplomazie è proprio “pace”, perché la pace non è prevista se non dopo che si siano stabiliti vinti e vincitori».
«Oggi – è stata poi la sottolineatura di Segio – mancano gli eredi di quella comunità di profeti e si vive nella conflittualità. Turoldo è morto trent’anni fa e sono stati trent’anni di guerre, il mondo è diventato più ingiusto perché i governi non sono stati capaci di costruire pace e giustizia. E’ urgente un cambiamento radicale. Ed è possibile anche se può apparire utopico. Ma proprio Turoldo diceva che l’utopia era il non ancora avvenuto. Bisogna attrezzarsi non solo contro le guerre più visibili ma anche contro quelle che quotidianamente si combattono contro i poveri, i migranti, le donne, i bambini, i lavoratori schiavi in Cina o nei nostri campi del Sud, contro le minoranze».

Bruna Dighera

Un cambiamento radicale, dunque. «Un cambio di sguardo e di passo» come ha detto Bruna Dighera che ha parlato dell’esperienza della giustizia “riparativa” (ma a Lecco è stata scelta l’accezione di “restorativa”, inventandosi una parola ritenuta più calzante) e che è l’incontro tra re, vittime di reati e cittadini con l’intento di «disfare l’ingiustizia e fare la giustizia delle relazioni». Il gruppo – battezzato l’Innominato proprio per il richiamo al grandioso personaggio manzoniano che dopo avere ascoltato la supplica di Lucia aveva deciso che si poteva riparare un torto – opera ormai da dieci anni e si può definire un «corpo intermedio della società» per quanto non si tratti di un tavolo istituzionale. Ha avviato due luoghi di incontro (a Lecco e a Calolziocorte) e prossimamente aprirà uno “sportello per le vittime di reato” per ascoltare appunto le persone che hanno subito un’ingiustizia, le quali se vorranno potranno appunto avviare un progetto di “giustizia restorativa”.

Annabella Coiro

Infine, Annabella Coiro ha parlato dell’educazione alla pace, della serie di iniziative promosse nelle scuole per far comprendere ai bambini e ai ragazzi che la pace non è semplicemente l’assenza di una guerra, ma qualcosa da coltivare negli atteggiamenti quotidiani, contrastando le prevaricazione di ogni sorta. La nonviolenza, dunque: tutto attaccato, secondo l’insegnamento di Gandhi e Aldo Capitini, a testimoniare che non si tratta solo negazione della violenza ma qualcosa di più.

Il ciclo di iniziative si concluderà nella giornata di oggi. Alle 16 appuntamento all’incrocio tra le via San Nicolò e Ongania, in corrispondenza del grande cantiere di recupero della ex fabbrica Faini e che metterà a disposizione alcuni spazi pubblici. Dove in futuro vi è l’intenzione di piantare un ulivo in memoria proprio di padre Turoldo. Sempre oggi sarà inoltre presentato il concorso di idee rivolto alle scuole invitate a predisporre nei prossimi mesi elaborati e disegni dedicati alla pace.
Alle 17, invece, ci si ritroverà alla Casa Don Guanella di via Amendola per ascoltare le testimonianze di chi ha conosciuto Turoldo. Seguiranno preghiere e riflessioni interreligiose e sarà chiusa la mostra sulla vita del sacerdote friulano rimasta allestita nel corso di questo mese nella struttura guanelliana del Caleotto.
D.C.
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