Belledo: 'quando sono in montagna sento la gioia di vivere', le parole di Alessandro riproposte per l'ultimo commuovente saluto

"Quando sono in montagna sento la gioia di vivere. La commozione dell'essere buono e il sollievo nel dimenticare le miserie terrene. Tutto questo perché sono vicino al cielo e il panorama è sempre fantastico". Lo scriveva Alessandro Regazzoni, il giovane di Belledo – 33 anni appena – trovato privo di vita domenica di buon mattino, dopo il mancato rientro, la sera prima, da un'escursione in solitaria al Pizzo Cavregasco, a quota 2.535 metri, “poca cosa” rispetto ad altre vette toccate nella sua pur breve esistenza dall'appassionato alpinista, non scoraggiato certo da dislivello e fatica.

Alessandro Regazzoni

Oggi, nel giorno dell'ultimo saluto, tributato nella parrocchiale del suo rione, comprensibilmente troppo piccola per accogliere tutti gli intervenuti – con i punti fermi di “Rega” plasticamente rappresentanti dalla corone di fiori, dei famigliari, degli amici (di Maggianico), dei compagni della classe quinta del Bovara, dei colleghi e del gruppo sportivo Belledense – quel messaggio affidato ai social è stato riproposto dal celebrante.

Don Andrea Bellani – in una omelia forse resa piatta dal tono della lettura ma assolutamente coinvolgente nel contenuto – ben consapevole di come “e' bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore”, ha cercato di “non sprecare parole”, di “usarle con sobrietà. Per questo – ha detto - vorrei partire da parole che sono di Alessandro. Descrivono il senso della sua passione per la montagna. "Quando sono in montagna sento la gioia di vivere. La commozione dell'essere buono e il sollievo nel dimenticare le miserie terrene. Tutto questo perché sono vicino al cielo e il panorama è sempre fantastico". Queste parole sono molto preziose, dicono che la grande passione di Alessandro non era fine a sé stessa ma in vista del provare la gioia di vivere, la commozione dell'essere buono, di superare le miserie del mondo. E' per questo che ho scelto la pagina delle beatitudini” ha aggiunto rifacendosi a quanto proposto poco prima. “Perché tra quelle del Vangelo è una di quelle in cui si vede in maniera più evidente questa visuale dal cielo. Sì perché se prendiamo le parole di Gesù viste dal basso, da noi, dalla terra, sono quasi una poesia: beati i poveri, beati gli afflitti, beati gli affamati di giustizia, beati i perseguitati. Quando mai? Hanno però tutt'altra luce se viste dal cielo, se viste dall'alto (...). Viste dalla prospettiva di Gesù, lassù in alto, tutto appare diverso. Per questo ne prendo due di beatitudini per noi oggi. La prima riguarda la bontà: nelle sue parole Alessandro parlava della commozione dell'essere buono. Buono nel Vangelo è mite. Beati i miti perché avranno in eredità la terra. So che molti hanno nella mente e nel cuore proprio questo, questo tratto di Alessandro, il suo essere buono, il suo essere mite. Gesù dice "avrà in eredità la terra". Se il mondo di oggi deride chi è mite, se pensa che sia perdente l'essere buono, che non bisogna farsi scrupoli per raggiungere i propri obiettivi, che mai e poi mai bisogna lasciarsi schiacciare dagli altri, essere buoni, provare commozione nell'essere buoni è proprio controcorrente. Ma Dio ama i buoni, perché gli assomigliano, assomigliano a Lui che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi, che fa piovere sul campo dei giusti e degli ingiusti, il cuore di Dio offre ai buoni la sua casa. Guardando ad Alessandro, alla sua età e alla sua morte, si pensa giustamente "quante cose avrebbe potuto ancora fare" (...). Però dobbiamo fare nostro anche questo pensiero: di tutto quello che in questa vita egli avrebbe potuto fare, realizzare, conquistare, ora Dio, nella sua casa, non gli dà nulla di meno (...). Diceva Alessandro "tutto questo perché sono vicino al cielo e lì il panorama è sempre fantastico": ora è salito ancora più su, Dio gli conceda la gioia più grande (…)".

"Resta però – ha proseguito ancora, con assoluta lucidità, don Andrea - allo stesso tempo il dramma della morte, tutto il dolore di chi da questa vita se l'è sentito strappare via, di chi avrebbe voluto affrontare con Alessandro il presente e il futuro. Ora è il tempo del dolore. Oggi, domani e domani ancora sono il tempo del pianto. Nel cuore delle persone che hanno amato Alessandro la ferita resterà sempre, accompagnerà molti dei loro giorni. Vi è però un impegno da assumere subito, gli uni nei confronti degli altri, dando il giusto valore - la morte di Alessandro ci ammonisce a farlo - a ogni giorno, ogni istante vissuto insieme non va sprecato (...). Ma vi è qualcosa in più, perché il Vangelo dice "quelli che sono nel pianto": è la seconda beatitudine. Se infatti anche qui ci lasciamo condurre su in cima alla montagna per ascoltare Gesù gli sentiamo dire "beati quelli che sono nel pianto perché saranno consolati". Cos'è la consolazione? Come può esserci consolazione di fronte a un dolore così grande? Qui le parole si fermano perché come essere umani siamo disarmati e dobbiamo fare spazio alla fede, a quello che Dice dice. Quindi preghiamo per voi, mamma, papà, sorella e vicini ad Alessandro. Dio realizzi le sue promesse, non vi lasci privi della sua consolazione, di sentire Lui - il Signore - e Alessandro sempre a voi vicini".

Difficile aggiungere altro. E dopo la lettura della Preghiera dell'Alpino – Alessandro lo era ed ha affrontato dunque il suo ultimo viaggio con il cappello con la penna nera adagiato sulla bara, scortata dai gagliardetti dei gruppi di Belledo, Acquate e Limonta – il feretro è rimasto a lungo sul sagrato, in cui clima di assoluto silenzio. Con il Resegone spolverato di bianco da abbracciare famigliari e amici attoniti per una morte tanto improvvisa e prematura.
A.M.
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