Rimborsopoli: dei lecchesi, solo Parolo in Cassazione. E' 'salvato' dalla prescrizione. Condanna definitiva per il genero di Galli

Ugo Parolo
"Rimborsopoli"
atto finale. O quasi. E' approdato in Cassazione il fascicolo giornalisticamente ribattezzato "Spese Pazze", frutto dell'inchiesta, chiusa nel 2015, vertente complessivamente su poco più di 3 milioni di euro usciti - stando all'originale impianto accusatorio - illecitamente dalle casse della Regione per pagare, tra le altre cose, lecca lecca, sigarette, ovetti Kinder, sushi e gratta e vinci, inseriti nei rendiconti di consiglieri e assessori quali costi connessi al loro mandato.
Al centro dell'attenzione dunque rimborsi gonfiati o comunque, ritenevano gli inquirenti, indebitamente ottenuti tra il 2008 e il 2012 da una lunghissima lista di eletti di ogni schieramento. 57 gli imputati che avevano optato, in prima battuta, per il dibattimento, a fronte invece della richiesta di essere giudicati con rito abbreviato avanzata da piccolo gruppetto di politici, incluso il lecchese Carlo Spreafico, arrivato, a chiudere poi, dopo una serie di andirivieni giudiziari il proprio conto con una condanna a 8 mesi.
Si erano separate invece in Appello le strade di altri due coinvolti "nostrani": condannato in primo grado a 2 anni e 2 mesi (pena base per chi non ha optato per la refusione della somma incriminata alla Regione) per l'ipotesi di reato di peculato, il leghista Giulio De Capitani era poi uscito di scena grazie alla prescrizione; Giulio Boscagli, la cui posizione era "aggravata" dall'aver assunto per qualche mese in contestazione il ruolo di capogruppo dell'allora Popolo delle Libertà, invece, dopo i 2 anni e 5 mesi comminati a suo carico nel 2019, aveva optato nel 2021 per "gettare la spugna", chiedendo - come una decina di altri "colleghi", inclusa l'ex igienista dentale Nicole Minetti - il patteggiamento. Un anno e 7 mesi la pena che gli è stata applicata su accordo delle parti, senza ovviamente alcuna ammissione di responsabilità avendo sempre sostenuto di aver attinto ai fondi previsti dalla legge per fini inerenti al mandato.
E non è arrivato all'appuntamento romano, per ben altre ragioni, nemmeno Stefano Galli, mancato a soli 63 anni nell'ottobre 2021. Come si ricorderà, all'ex leader dei Lumbard al Pirellone, con casa a Pasturo, era contestato anche il reato di truffa ai danni dell'Ente: per i giudice, che in primo grado lo hanno condannato a ben 4 anni e 8 mesi, pena lievemente ritoccata al ribasso in secondo grado, aveva pagato con soldi pubblici il matrimonio della figlia e aveva fatto assumere, pur senza titoli, il genero quale consulente con un compenso di 196mila euro lordi per 19 mesi di lavoro. Proprio quest'ultimo, Corrado Paroli, figura nel brevissimo elenco di soggetti ora condannati in via definitiva. La prescrizione ha invece "graziato" il grosso degli imputati ancora sotto giudizio, tra i quali, oltre l’attuale capogruppo al senatore leghista Massimiliano Romeo, all'europarlamentare Angelo Ciocca e a Renzo "il Trota" Bossi, anche il colichese Ugo Parolo. Gli ermellini hanno infatti riqualificato l'accusa di peculato in quella meno grave di indebita percezione di erogazioni pubbliche, "depennando" di fatto tutte le contestazione precedenti il 2009. Per le restanti - residuali in termini numerici - si tornerà invece in Corte d'Appello dove gli atti sono stati rinviati per un nuovo processo. Ma anche sullo spin off già incombe la prescrizione.
A.M.
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