In viaggio a tempo indeterminato/257: al ritmo di una tazzina di tè...
Ieri ho fatto un sogno.
Io e Paolo eravamo seduti a un tavolino di legno.
Davanti a noi due tazze di çay nero turco.
Bicchierini piccoli e di vetro a forma di tulipano. Osservavo la zolletta di zucchero sciogliersi lentamente nel tè di Paolo.
Un pezzettino alla volta scompariva senza lasciare traccia.
Un'immagine quasi ipnotica.
Poi il canto che proviene dalla moschea, sposta la mia attenzione dalla zolletta al mondo esterno.
Sul tavolo c'è un simit, un pane a forma di gigantesca ciambella e ricoperto di sesamo.
Il profumo che emana è inebriante.
Mi guardo attorno e nel tavolo accanto dei signori stanno giocando a un gioco simile al backgammon. Ridono, illuminati dal sole caldo di quel pomeriggio turco.
Uno di loro si gira e inizia a parlarci in turco e Paolo sembra capire tutto, perfettamente.
Si scambiano risate, strette di mano, sguardi complici
Io, invece, faccio fatica a decifrare quella lingua. Mi sembrano solo tanti suoni infilati uno dopo l'altro a creare una melodiosa cantilena.
Prendo in mano il bicchierino di çay e sento sui polpastrelli il calore del vetro.
Lo sberluccichio delle lampade colorate che vende il negozio di fronte, si riflette per un istante sulla superficie del tè.
Bevo un sorso, chiudo gli occhi per un istante.
Quando li riapro è cambiato tutto.
Non sono più nella calda e tranquilla strada turca.
Sono in uno spazio chiuso.
Il soffitto è coperto da volte a botte in mattoni e ci sono delle scritte sulle pareti formate da tante piastrelle colorate disposte a mosaico.
Mi sento per un attimo stranita.
Dove sono finita?
Sento il calore provenire dai miei polpastrelli e mi rendo conto di avere ancora in mano un bicchierino di tè nero.
Non è più in un contenitore a forma di tulipano ma in un normale bicchiere di forma cilindrica.
Mi sembra identico in tutto e per tutto a quello che stavo bevendo un istante prima di chiudere gli occhi.
Ma attorno a me è cambiato tutto. Sono seduta su un gradino e di fronte a me vedo un negozio di tappeti bellissimi.
Sembrano opere d'arte.
Poco più in là, scorgo una piramide rossa di polvere di zafferano. Sembra così preziosa appoggiata su un piatto dorato.
Un tesoro, il tesoro dell'Iran.
Mi guardo in giro per cercare Paolo.
Lo vedo tutto intento a parlare con un ragazzo che ha più o meno la stessa età.
E in quel momento sento il peso sulla mia testa di qualcosa di estraneo.
Sto indossando un velo rosa che mi scivola lentamente dai capelli al collo.
Vorrei sistemarmelo ma in una mano tengo il bicchierino di chai e nell'altra un pezzetto di pane caldo con sopra del formaggio salato.
Decido di dare priorità al cibo e addento il pane. È croccante e mi sembra di rivedere il negozio del fornaio dove lo abbiamo appena preso. Lo cuocevano in un forno pieno di pietre incandescenti nere. Dei sassi, che rimanevano attaccati a quella sfoglia di pane, finché il fornaio non lo sbatteva violentemente su una griglia metallica.
"Ci ha già pagato il chai e chiede se ne vogliamo un altro" mi urla Paolo, mentre stringe la mano al ragazzo con cui sta parlando da qualche minuto.
Quanta gentilezza da uno sconosciuto. Sono felice, nonostante il velo che porto in testa sembra pesare quintali e non qualche grammo.
Avvicino il bicchierino di chai alla bocca. Ne bevo un sorso, è amaro come piace a me.
Chiudo gli occhi per fermare quel momento.
"Chaaai, chaaai". Una voce possente rimbomba nel corridoio all'esterno della nostra stanza.
Apro gli occhi e mi rendo conto che era tutto solo un sogno.
Quell'urlo però è reale. "Chaaai, chaaai" sento di nuovo. La "a" allungata come a creare un ritornello che mi entra in testa e non riesco a togliermi.
Paolo, sdraiato nel letto accanto a me, si alza di scatto.
"Che fai?" Gli chiedo.
"Prendo il chaaai dal venditore che c'è qui fuori" dice imitando il richiamo che proviene cadenzato dal corridoio.
Torna poco dopo con un bicchierino di cartone in mano.
C'è scritto Nescafée sopra e io sorrido pensando alla storpiatura.
Bevo un sorso di quella bevanda. È dolce, con il latte, lo zucchero scuro di canna e lo zenzero.
È il riassunto dell'India. Dolce ma speziato allo stesso tempo.
E in quell'istante realizzo che sono mesi che la mia vita è scandita da un tè.
I ricordi più belli, gli incontri, la conoscenza di Paesi come la Turchia, l'Iran e ora l'India hanno avuto sempre un retrogusto di tè.
Il tè è stato una coccola quando eravamo tristi, una pausa quando eravamo stanchi, una gioia quando eravamo felici.
Abbiamo festeggiato con una bella tazzina di chai indiano anche quando abbiamo saputo che Alessia, la nostra amica arrestata in Iran, stava finalmente tornando a casa.
Un tè, un çay, un çai, un chai... Modi diversi di scriverlo ma sempre lo stesso dolce suono.
E il tè, per quanto piccolo possa essere il bicchierino, ha bisogno di tempo per berlo.
Devi aspettare che si freddi un po'.
Così, inevitabilmente, ti fermi, rallenti, ti guardi intorno e ti concentri sul goderti quel momento
Sarebbe bello poter vivere sempre la vita al ritmo di una tazzina di tè.
Io e Paolo eravamo seduti a un tavolino di legno.
Davanti a noi due tazze di çay nero turco.
Bicchierini piccoli e di vetro a forma di tulipano. Osservavo la zolletta di zucchero sciogliersi lentamente nel tè di Paolo.
Un pezzettino alla volta scompariva senza lasciare traccia.
Un'immagine quasi ipnotica.
Poi il canto che proviene dalla moschea, sposta la mia attenzione dalla zolletta al mondo esterno.
Sul tavolo c'è un simit, un pane a forma di gigantesca ciambella e ricoperto di sesamo.
Il profumo che emana è inebriante.
Mi guardo attorno e nel tavolo accanto dei signori stanno giocando a un gioco simile al backgammon. Ridono, illuminati dal sole caldo di quel pomeriggio turco.
Uno di loro si gira e inizia a parlarci in turco e Paolo sembra capire tutto, perfettamente.
Si scambiano risate, strette di mano, sguardi complici
Io, invece, faccio fatica a decifrare quella lingua. Mi sembrano solo tanti suoni infilati uno dopo l'altro a creare una melodiosa cantilena.
Prendo in mano il bicchierino di çay e sento sui polpastrelli il calore del vetro.
Lo sberluccichio delle lampade colorate che vende il negozio di fronte, si riflette per un istante sulla superficie del tè.
Bevo un sorso, chiudo gli occhi per un istante.
Quando li riapro è cambiato tutto.
Non sono più nella calda e tranquilla strada turca.
Sono in uno spazio chiuso.
Il soffitto è coperto da volte a botte in mattoni e ci sono delle scritte sulle pareti formate da tante piastrelle colorate disposte a mosaico.
Mi sento per un attimo stranita.
Dove sono finita?
Sento il calore provenire dai miei polpastrelli e mi rendo conto di avere ancora in mano un bicchierino di tè nero.
Non è più in un contenitore a forma di tulipano ma in un normale bicchiere di forma cilindrica.
Mi sembra identico in tutto e per tutto a quello che stavo bevendo un istante prima di chiudere gli occhi.
Ma attorno a me è cambiato tutto. Sono seduta su un gradino e di fronte a me vedo un negozio di tappeti bellissimi.
Sembrano opere d'arte.
Poco più in là, scorgo una piramide rossa di polvere di zafferano. Sembra così preziosa appoggiata su un piatto dorato.
Un tesoro, il tesoro dell'Iran.
Mi guardo in giro per cercare Paolo.
Lo vedo tutto intento a parlare con un ragazzo che ha più o meno la stessa età.
E in quel momento sento il peso sulla mia testa di qualcosa di estraneo.
Sto indossando un velo rosa che mi scivola lentamente dai capelli al collo.
Vorrei sistemarmelo ma in una mano tengo il bicchierino di chai e nell'altra un pezzetto di pane caldo con sopra del formaggio salato.
Decido di dare priorità al cibo e addento il pane. È croccante e mi sembra di rivedere il negozio del fornaio dove lo abbiamo appena preso. Lo cuocevano in un forno pieno di pietre incandescenti nere. Dei sassi, che rimanevano attaccati a quella sfoglia di pane, finché il fornaio non lo sbatteva violentemente su una griglia metallica.
"Ci ha già pagato il chai e chiede se ne vogliamo un altro" mi urla Paolo, mentre stringe la mano al ragazzo con cui sta parlando da qualche minuto.
Quanta gentilezza da uno sconosciuto. Sono felice, nonostante il velo che porto in testa sembra pesare quintali e non qualche grammo.
Avvicino il bicchierino di chai alla bocca. Ne bevo un sorso, è amaro come piace a me.
Chiudo gli occhi per fermare quel momento.
"Chaaai, chaaai". Una voce possente rimbomba nel corridoio all'esterno della nostra stanza.
Apro gli occhi e mi rendo conto che era tutto solo un sogno.
Quell'urlo però è reale. "Chaaai, chaaai" sento di nuovo. La "a" allungata come a creare un ritornello che mi entra in testa e non riesco a togliermi.
Paolo, sdraiato nel letto accanto a me, si alza di scatto.
"Che fai?" Gli chiedo.
"Prendo il chaaai dal venditore che c'è qui fuori" dice imitando il richiamo che proviene cadenzato dal corridoio.
Torna poco dopo con un bicchierino di cartone in mano.
C'è scritto Nescafée sopra e io sorrido pensando alla storpiatura.
Bevo un sorso di quella bevanda. È dolce, con il latte, lo zucchero scuro di canna e lo zenzero.
È il riassunto dell'India. Dolce ma speziato allo stesso tempo.
E in quell'istante realizzo che sono mesi che la mia vita è scandita da un tè.
I ricordi più belli, gli incontri, la conoscenza di Paesi come la Turchia, l'Iran e ora l'India hanno avuto sempre un retrogusto di tè.
Il tè è stato una coccola quando eravamo tristi, una pausa quando eravamo stanchi, una gioia quando eravamo felici.
Abbiamo festeggiato con una bella tazzina di chai indiano anche quando abbiamo saputo che Alessia, la nostra amica arrestata in Iran, stava finalmente tornando a casa.
Un tè, un çay, un çai, un chai... Modi diversi di scriverlo ma sempre lo stesso dolce suono.
E il tè, per quanto piccolo possa essere il bicchierino, ha bisogno di tempo per berlo.
Devi aspettare che si freddi un po'.
Così, inevitabilmente, ti fermi, rallenti, ti guardi intorno e ti concentri sul goderti quel momento
Sarebbe bello poter vivere sempre la vita al ritmo di una tazzina di tè.
Angela (e Paolo)