''San Martino deciderà'' - (Promessi sposi, VII)

La scultura nella foto è Manzoni in blue jeans,
di Afran (Lecco - collezione privata)
San Martino è per molti la nebbia che piovigginando sale agl'irti colli. Non ho nulla contro Giosuè, ma - si sa - sono più amico di Alessandro: per noi due San Martino è la data ferale della scommessa con cui Attilio aveva sfidato il cugino Rodrigo a conquistare (si fa per dire) Lucia. E lo canzona, più i giorni passano e la scadenza si avvicina.

Nel 1628, l'anno in cui inizia l'azione dei Promessi sposi, l'11 novembre era un sabato: don Rodrigo smania nelle stanze del suo palazzotto dopo che il Griso gli riferisce del tentativo di rapimento andato a vuoto, e Renzo approda a Milano, ragazzotto in fuga catapultato all'improvviso in una realtà e in una città infinitamente più grandi delle sue risorse.

E si perde.

La città è in subbuglio: è il giorno della rivolta del pane, dell'assalto al forno "delle grucce", della smania di Renzo che sgomita tra la folla, prende la parola, osanna Ferrer, e poi, stanco e ubriaco, si fa prendere all'amo da quell'Ambrogio Fusella (nome milanesissimo, cognome che fa rima con quello di Lucia), di professione spadaio, gli dice.


L'11 novembre per me è il capitolo undicesimo (!) dei Promessi sposi, e i seguenti, fino al quindicesimo, perché Manzoni dilata il racconto di quell'unico giorno come una fisarmonica: è un ragazzo che con la lieta furia dei suoi vent'anni si perde, viene scambiato per chi non è,

A Lecco San Martino è il monte, che si affaccia a picco sulla città e che era famosissimo prima che proprio Manzoni, descrivendo il Resegone, lo mettesse un po' in ombra.

A Milano è il giorno della rivolta.

Renzo tocca forse il punto più basso del suo romanzo di formazione. Poi ha ventisette capitoli per ritrovarsi (quando dovrà scegliersi uno pseudonimo per sfuggire alla taglia sulla sua testa sceglierà "Rivolta"), imparare, crescere, diventare uomo.

San Martino è il giorno della svolta.

Stefano Motta
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