Malgrate: licenziato perchè reso disabile dalla sclerosi multipla, per la Cassazione il provvedimento fu illegittimo. Mail 'inchioda' l'azienda

L'ingegner Riccardo Calvini
Affetto dalla sclerosi multipla ormai da cinque anni, le sue condizioni andavano sempre più aggravandosi e l’azienda per cui lavorava, non prima comunque di averne agevolato la permanenza in azienda con l’alleggerimento delle mansioni, decise per il licenziamento. Un licenziamento però da ritenersi illegittimo perché discriminatorio e che tale rimane anche se adottato dopo azioni virtuose nei confronti del dipendente.
Così ha deciso in via definitiva la Corte di Cassazione nell’ultimo passaggio di un procedimento apertosi nel 2017 e arrivato a compimento con la sentenza di terzo grado adottata nel maggio di quest’anno, le cui motivazioni sono state depositate nei giorni scorsi, per la precisione il 20 ottobre.
Protagonista del contenzioso è Riccardo Calvini, malgratese che oggi ha 55 anni ed è in pensione. Ingegnere aeronautico, una decina di anni fa lavorava alla “Pietro Fontana Spa” di Calolzio e proprio dieci anni fa, nel 2012, gli venne diagnosticata la sclerosi multipla nella forma primaria progressiva.
Come detto, le sue condizioni sono via via andate aggravandosi e nel maggio del 2017, l’azienda decise di risolvere il rapporto di lavoro.
Contro il licenziamento, Calvini si rivolse alla magistratura civile. In primo grado, nel gennaio 2018, il tribunale diede ragione all’azienda. Nel 2019 la Corte d’appello ribaltò la sentenza; ora, la Suprema Corte – presidente Adriana Doronzo, relatore Margherita Maria Leone – ha dato definitivamente ragione all'ingegnere.
La valenza discriminatoria del provvedimento adottato dall’azienda è testimoniata – si legge nella motivazione – da una e-mail del marzo 2017: «inviata dal presidente del consiglio di amministrazione al direttore generale che, per contenuto inequivoco circa la volontà di recedere dal rapporto di lavoro in questione a causa della condizione di salute ed handicap del dipendente, e per tempestività temporale rispetto al recesso adottato, risultava esemplificativa delle reali ragioni sottese all’atto di licenziamento costituite dalla volontà di sostituire il dipendente con altro “più capace”».
A sostegno del proprio ricorso in Cassazione, la “Fontana”, rappresentata dall’avvocato Stefano Caserta, ha appunto evidenziato tutti i comportamenti adottati fin dal 2013 per venire incontro ai problemi fisici di Calvini e dei quali i giudici d’appello non hanno tenuto conto. Spiega la Cassazione: «Le misure agevolatorie richiamate (mansioni assegnate ad altri, macchina aziendale con dispositivi speciali, alleggerimento dei compiti), asseritamente dimostrative del buon comportamento datoriale, se pur apprezzabili in un contesto valutativo più ampio, non possono direttamente mutare il contenuto del documento in questione o modificarne il valore interpretativo». Vale a dire la dichiarata volontà di procedere al licenziamento stante l’aggravarsi delle condizioni di salute di Calvini.
Inutile anche, secondo i giudici, che l’azienda faccia rilevare come «il provvedimento espulsivo era intervenuto dopo circa 5 anni e, quindi, dopo un lungo lasso temporale dall’insorgere della malattia. E ininfluente pure  «la mancata sostituzione del lavoratore e la mancata assunzione di un’ulteriore risorsa destinata a coprire la posizione del Calvini». Irrilevanti inoltre quelli che sono stati definiti “accomodamenti ragionevoli”: «superflua l’indagine sul demansionamento e, come detto, sulle diverse misure azionate per dare consistenza a quei “ragionevoli accomodamenti” richiamati». Inammissibile, infine, che l’azienda si appelli alla correttezza del proprio comportamento facendo rilevare «la riduzione degli incarichi assegnati fin dal 2013 a parità di inquadramento».
Sostanzialmente, dice il giudice, i comportamenti virtuosi saranno anche apprezzabili ma esulano dalla materia in esame e cioè il motivo del licenziamento. Una volta accertato che il licenziamento è avvenuto per le condizioni di salute del dipendente, tale provvedimento va ritenuto discriminatorio. E pertanto non valido. Il resto non conta.
Nel frattempo, Calvini è andato in pensione. Già all’indomani della sentenza d’appello aveva rinunciato al reintegro ed era stato raggiunto un accordo economico con l’azienda. Ora si dedica a viaggiare. Ne abbiamo parlato (QUI l'articolo) in occasione della serata tenutasi a Malgrate e nella quale ha raccontato del suo viaggiare nonostante la malattia.
D.C.
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.