Lecco, il Cardinale Scola: 'don Giussani è vivo'. Riflessioni, tra ieri e oggi, su una società 'in decadenza'

«Dove ci sono persone che sono state toccate nel cuore da don Giussani, lì don Giussani c’è. E allora don Giussani è vivo». Tra ricordi personali e riflessioni sull’insegnamento del fondatore del movimento di Comunione e liberazione, il cardinale Angelo Scola che di quel movimento è stato esponente di spicco e che a don Giussani dice di dovere la sua “scoperta” del cristianesimo, il cardinale che è stato patriarca di Venezia e arcivescovo di Milano , ha parlato della propria esperienza ma anche cercato di dare risposte agli interrogativi dei cattolici di oggi nel corso di un incontro dal titolo “Si può vivere così” a corollario dell’inaugurazione della mostra dedicata a don Luigi Giussani (QUI l’articolo), il prete milanese che appunto diede vita a Cl, in occasione del centenario della nascita.

Il cardinale Angelo Scola

A interrogare Scola c’erano da una parte Giulio Boscagli, già sindaco di Lecco a rappresentare il movimento delle origini e due giovani, Diletta Gallucci e Giuditta Melesi, a rappresentare quello di oggi.

Giuditta Melesi

Scola ha cominciato raccontando del suo “incontro” con don Giussani: «Era il 1958, era la Settimana Santa. Allora il peso della Chiesa nella società era ancora molto forte.  Noi studenti delle scuole, spinti dai professori, si andava nella basilica di San Nicolò ad ascoltare i predicatori. Io stavo attraversando un periodo particolare proprio in materia di fede. Andavo a messa, ma il cristianesimo era diventato non più interessante. I miei interessi erano la politica e la letteratura, quella russa e quella americana. La fede c’era, ma molto convenzionale e passata alle spalle. Quella mattina entrai in chiesa un po’ disinteressato. Ma appena seduto, ho sentito il predicatore che era don Giussani parlare di “gioventù come tensione”. Rimasi sorpreso. Non aveva un nesso con gli altri preti, di come allora parlavano ai giovani. Fui colpito, ascoltai, capii poco, ma soprattutto mi colpì l’energia. Seguì poi un campeggio estivo e poi ancora creammo un piccolo gruppetto a Lecco. Stava accadendo qualcosa: mi accorgevo della frattura, del dualismo che c’era in me, tra Cristo e la vita di tutti i giorni». E seguire l’insegnamento di don Giussani è vivere «il cristianesimo come un irresistibile compimento di sé» perché «il cristianesimo è un avvenimento».

Giulio Boscagli

E se oggi si parla di “fine del cristianesimo”, per Scola «sulla secolarizzazione della società sono state scritte tante inesattezze, ma la secolarizzazione è morta, adesso non ha più niente da dire. Certo ha comportato la scristianizzazione, l’allontanamento del popolo prima della pratica e poi dalle convinzioni, ma la Chiesa non è venuta mai meno. Il disegno complessivo è nella mani di Dio. Da parte nostra, dobbiamo puntare sulla semina e non sul raccolto. Poi, naturalmente, bisognerebbe fare un discorso serio su quello che è successo, sulla perdita del senso, del “per chi” faccio qualcosa. Se perdi quello….».
E del resto, è sbagliato usare la parola “crisi” parlando della società e della Chiesa. «L’etimologia di crisi è giudizio e la Chiesa è sotto il giudizio di Dio. In quanto alla società occidentale più che in crisi è in decadenza. Ci si scontra con troppa rabbia, penso a quello che chiamano il diritto all’aborto o il sesso fluido. C’è un dileggio reciproco ed è segno di involuzione. Ma c’è una possibilità di ripresa ed è un umanesimo adeguato ai nostri tempi e non basta la formula del catechismo. La ripresa riguarda un modo di vivere, è guardare al futuro con l’occhio con cui ti guarda la misericordia divina. Al centro di tutto c’è l’incontro con Dio. E quello non è mai cambiato. Come per le famiglie, come nell’incontro tra un uomo e una donna. Perché l’incontro è sempre amoroso».

Diletta Gallucci

Il fatto che tutti «siamo costretti a vivere assieme» come diceva Maritain e se la dialettica e i fraintendimenti sono inevitabili e ci sono diverse visioni del mondo, occorre il confronto «per trovare un’intesa su quella visione che deve prevalere nel rispetto dei diritti fondamentali per tutti. Bisogna essere disponibili a prendere da tutti, a prendere il frammento di bene che c’è in tutti. Oggi invece viviamo in un’epoca “sentimentale”, nel senso che è l’emozione il criterio di giudizio» a spese della ragione.
E pensando ai giovani d’oggi, «rispetto a un tempo può essere meno agevole. Oggi la società è plurale e quindi i ragazzi sono stiracchiati da una parte e dall’altra. Allora la vita è forse più semplice, ma non perché tutto fosse automatico». E del resto, le obiezioni che i preti muovevano al nostro movimento erano sul fatto che era misto, non c’erano divisioni di sesso, oltre all’accusa «che portavamo via i ragazzi dall’oratorio», ma «quella più forte, involontariamente insinuante, era che non avremmo dovuto parlare come parlavano di Cristo perché in quel modo avremmo allontanato i giovani. Ma semplicemente eravamo più interessanti e convincenti, proprio perché ci domandavamo “per chi io vivo”. E allora essere attraenti: come diceva don Giussani, la proposta del cristianesimo deve essere decisa ed elementare. Decisi coi ragazzi nel proporre Cristo, aiutandoli a essere fedeli alla compagnia pur nella libertà. Questo bisogno c’è ancora nei ragazzi. Anche se forse è più difficile rompere l’involucro che li racchiude».

Naturalmente, serve autorevolezza, come spiegò proprio don Giussani a un giornalista che lo interrogava sui motivi di un così vasto seguito giovanile: «Perché credo in quello che dico».
D.C.
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