Calolzio: violentò la compagna davanti ai figli, condannato a quasi 9 anni
Il tribunale di Lecco
L'uomo, come emerso dal racconto della vittima (la ex convivente, costituitasi parte civile e assistita dall'avvocato Nadia Colombo del foro di Lecco) e dei testimoni introdotti nel corso dibattimento (fra cui anche i figli della coppia), probabilmente sotto effetto di alcol e stupefacenti avrebbe obbligato la donna a un rapporto non consenziente. Era inoltre chiamato a rispondere dei reati di lesioni personali aggravate, maltrattamenti in famiglia e violenza privata (per aver obbligato la compagna ad uscire di casa per procurargli della droga) e di minacce nei confronti del figlio maggiore, intervenuto in difesa della mamma.
Oggi, dopo l'escussione dell'ultimo testimone a discarico (cugino dell'odierno imputato, che in aula ha dipinto una relazione quasi rosea fra i due), le parti hanno rassegnato le conclusioni.
Da parte della pubblica accusa, in aula nella persona del sostituto procuratore Alessandro Gobbis, è arrivata una richiesta di condanna a 11 anni e 2 mesi di reclusione. Un computo della pena basatosi sostanzialmente sulla lettura degli atti, dato che l'istruttoria è stata condotta principalmente dai colleghi Andrea Figoni prima e Chiara di Francesco poi. Con il primo, nel corso della sua requisitoria, il pm d'udienza ha affermato di concordare in merito al cambiamento “in itinere” (nelle prime fasi del dibattimento) del capo d'imputazione: da violenza sessuale tentata a violenza sessuale consumata e l'aggiunta dell'accusa di violenza privata.
A sottoscrivere la richiesta di condanna dell'uomo l'avvocato di parte civile, che per la vittima del presunto stupro, “annichilita da 25 anni di maltrattamenti e 25 anni di rapporti sessuali subiti”, ha chiesto anche il risarcimento del danno per il disturbo post traumatico da stress causatole.
Quindi l'arringa dell'avvocato Marilena Guglielmana, che ha ripercorso l'intera istruttoria per tentare di dimostrare l'innocenza del proprio assistito, arrivando a smentire le testimonianze della persona offesa e del figlio. “Non c'è stata linearità, non c'è stata attendibilità, non c'è stata spontaneità da parte loro” ha concluso il difensore, prima di richiedere in via principale l'assoluzione dell'uomo (peraltro sottoposto per questo processo alla misura cautelare della detenzione in carcere) perché non raggiunta la prova dei fatti di cui veniva accusato e in via subordinata il minimo della pena.
Di diverso avviso il collegio giudicante – presieduto dal dottor Paolo Salvatore con a latere i colleghi Martina Beggio e Gianluca Piantadosi – che ha condannato il calolziese.
F.F.