Relazione movimentata finisce con un rapimento davanti al centro antiviolenza. La vicenda in Aula


Quando finalmente lei ha trovato il coraggio di lasciarlo, al termine di 25 anni di un matrimonio a dir poco burrascoso, lui l'avrebbe raggiunta alla porta dell'associazione Telefono Donna di Lecco per "rapirla". Questa, almeno, l'ipotesi accusatoria della Procura della Repubblica di Lecco nei confronti di un 46enne di origini campane, che, rinviato a giudizio con l'accusa di sequestro di persona si trova anche a difendersi da altre e diverse contestazioni quali maltrattamenti in famiglia e lesioni personali aggravate.
Quanto accaduto il 19 aprile 2022 sarebbe infatti stata solo il punto di massima tensione di una relazione ormai giunta al capolinea, come hanno confermato i testimoni di polizia giudiziaria intervenuti quest'oggi nel processo penale incardinatosi davanti al Tribunale di Lecco in composizione collegiale (presidente Paolo Salvatore, a latere i colleghi Gianluca Piantadosi e Martina Beggio).
I fatti sviscerati in aula da appartenenti alla Polizia di Stato e ai Carabinieri partono dal 9 aprile 2022, per andare a ritroso fino al 2008: la coppia si era appena trasferita da Napoli ad Olginate quando la donna avrebbe richiesto l'intervento degli uomini dell'Arma per una lite furiosa al culmine della quale avrebbe cercato di difendersi brandendo un coltello da cucina. L'episodio più recente, avvenuto soli pochi giorni prima del "rapimento" avanti all'associazione lecchese è sfociato in una seconda accusa per sequestro di persona: "avevano appena finito di litigare perché lui voleva che lei andasse al supermercato per rubare dei generi alimentari e lei si era rifiutata" ha raccontato uno degli operanti intervenuti presso l'abitazione di Calolziocorte. "Lui l'avrebbe chiusa a chiave in una stanza perché lei avrebbe preso un coltello".
L'istruttoria (iniziata e conclusasi nella mattinata di oggi) è quindi proseguita con l'escussione della stessa persona offesa, costituitasi parte civile e rappresentata dall'avvocato Laura Rota del foro di Lecco. Diversi gli episodi di violenza - che la donna avrebbe ricondotto ad una gelosia quasi morbosa del marito nei suoi confronti - ripercorsi in aula: sberle, schiaffi, costole rotte e insulti sarebbero stati frequenti tanto che, su richiesta del pm (il dottor Alessandro Gobbis), la testimone ha fatto fatica a distinguere i singoli fatti che le veniva chiesto di descrivere. Anche gli insulti sarebbero stati all'ordine del giorno: "diceva sempre le stesse cose: "merda, puttana, zoccola, o invecchi nelle mie mani o muori nelle mie mani"". Ha invece ricordato con precisione quel calcio sferratole mentre era sulla sedia a rotelle, proprio sulla gamba recentemente fratturata e ancora in via di guarigione dopo un'operazione.
Poi il racconto di quel 19 aprile, venuto solo pochi giorni dopo aver fatto le valige ed essersene andata definitivamente di casa: "mio figlio mi aveva chiamato mentre ero all'associazione Telefono Donna per chiedermi dei documenti, così gli ho detto di raggiungermi". Ma con sua sorpresa all'appuntamento si sarebbe presentato anche il marito. "Mi ha trascinata in macchina afferrandomi per il braccio: ho fatto per scappare dentro la struttura, ma non ho fatto in tempo". Nella colluttazione la signora sarebbe anche caduta a terra, raccolta di peso e caricata in auto mentre si dimenava. Lungo il tragitto i figli (il maggiore alla guida, la minore nel sedile posteriore) avrebbero cercato di tranquillizzare gli animi vedendo la mamma agitata, fino all'arrivo della Polizia di Stato che ha bloccato la corsa della vettura ad un incrocio all'altezza di Vercurago per procedere all'arresto dell'uomo seduto a lato passeggero.
Un'udienza tutt'altro che tranquilla tra i diversi ammonimenti del presidente del collegio rivolti allo stesso imputato (che continuamente interrompeva la compagna) con il conseguente allontanamento dall'aula e l'intimazione ad una testimone di dire la verità, ricordandole di essere sotto giuramento. Il giudice Salvatore ha infatti dovuto "minacciare" di segnalazione per falsa testimonianza l'amica che avrebbe accolto in casa la persona offesa e l'avrebbe accompagnata insieme alla propria figlia alla sede di Telefono Donna. A seguito di qualche "non sapevo nulla" e "non ricordo" di troppo, la teste stava infatti apparendo al Tribunale più reticente che effettivamente in preda a dei vuoti di memoria. Dopo l'intimazione del presidente è poi emerso che già il giorno dopo aver accolto la 44enne in casa anche l'amica avrebbe ricevuto "velate minacce" via messaggio dall'imputato.
Ancora hanno testimoniato due delle volontarie della Onlus lecchese, non presenti al momento in cui la donna sarebbe stata caricata in macchina, ma che si sarebbero subito prodigate per allertare le forze dell'ordine. "La signora l'ho conosciuta quel giorno" ha detto una delle operatrici. "Era il suo primo accesso. Lei è uscita un attimo con la figlia della sua amica che dopo poco è rientrata gridando "L'ha presa, l'ha portata via" ".
Hanno infine testimoniato i figli della coppia: "volevamo solo sistemare la situazione della famiglia: volevamo andare a prendere un caffè per far ragionare la mamma e convincerla a tornare a casa" ha detto la figlia minore. "Poi la situazione è degenerata" ha aggiunto il maggiore, che ha condannato in aula i modi usati dal padre, peraltro dipingendo una situazione famigliare tutt'altro che rosea fra i litigi dei genitori e il loro uso abituale di droghe.
L'istruttoria si è poi conclusa con le spontanee dichiarazioni rese dall'odierno imputato, difeso in aula dall'avvocato Marilena Guglielmana: "tutte bugie. Io non l'ho mai picchiata. Quelle frasi che le dicevo io erano dei modi di dire d'amore napoletani".
Il 28 novembre sarà la volta della discussione finale fra le parti ed eventualmente della sentenza.
F.F.
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