Lecco: per il ciclo 'La memoria ritrovata', ANMIG racconta Gaetano Perusini, dagli studi con Alzheimer alla morte al fronte

«Se non fosse morto avrebbe fatto grandi cose». Si parla di Gaetano Perusini, friulano di Cormons, medico psichiatra e ricercatore che collaborò con Alois Alzheimer e, anzi, ne approfondì le intuizioni contribuendo in maniera non indifferente alla nuova definizione delle malattie da demenza. E’ morto a 36 anni sul fronte della prima guerra mondiale nel 1915. Di lui si è parlato in un convegno tenutosi all’ospedale “Manzoni” su iniziativa della sezione lecchese dell’Anmig, l’associazione degli invalidi e mutilati di guerra costituita nel 1917 e il cui compito – scomparsi ormai quasi tutti i soci “storici”, quelli che le guerre le hanno fatte – è quello di mantenere viva la memoria, come ha spiegato il presidente Mauro Bonfanti.  E proprio con lo slogan “La memoria ritrovata” ha promosso una serie di incontri per ricordare scienziati, architetti e scrittori che hanno appunto perso la vita al fronte. I prossimi appuntamenti già annunciati sono quelli dedicati agli architetti Antonio Sant’Elia e Giuseppe Terragni, ma di altre figure si parlerà in seguito.

Andrea Salmaggi e Gedeone Baraldo. Sotto Mauro Bonfanti e Pierfranco Ravizza

A presentare la vita e il valore di Perusini sono stati i neurologi Bruno Lucci, autore di un libro sullo psichiatra friulano, e Orso Buggiani. Hanno portato il loro contributo anche Gedeone Baraldo, direttore della direzione medica dell’ospedale “Manzoni” e Andrea Salmaggi, primario della struttura di neurologia dello stesso ospedale e direttore del dipartimento di neuroscienza dell’ASST.
E’ toccato a Lucci raccontare il percorso umano e professionale di Perusini, nato nel 1879 in un ambiente famigliare particolarmente fecondo e stimolante. Diplomato al liceo classico a Udine, a 16 anni si iscrive all’università di Pisa, facoltà di medicina. Al quinto anno di studi decide di trasferirsi a Roma dove operava l’astro nascente della neurologia, Giovanni Mingazzini. Frequenta l’ospedale Santo Spirito che è prevalentemente psichiatrico. Tra gli altri studenti, stringe un sodalizio con il valtellinese Ugo Cerletti che passerà poi alla storia quale inventore dell’elettroshock. Erano gli anni del positivismo e dell’influenza sui ricercatori degli studi di Cesare Lombroso e infatti la tesi con la quale Perusini si laurea nel 1901, uno studio su cento omicidi,  è di ispirazione lombrosiana. Negli anni universitari, durante il periodo estivo, tra l’altro Perusini e Cerletti se ne vanno a perlustrare le valli alpine a cercare le famiglie dei gozzuti per indagare su quello che si chiamava il cretinismo. Ne esce un corposo studio corredato anche da fotografie che possono essere le prime di natura medica scattate non in ambulatorio ma sul territorio. E sarà proprio in base a quello studio che nel 1934 verrà promulgata una legge che imponeva l’aggiunta dello iodio al sale di cucina, perché le disfunzioni erano proprio create dall’assenza di iodio. Successivamente, Perusini va a Monaco di Baviera e nel 1906 a Zurigo nella clinica dove c’è anche Carl Gustav Jung. Sono gli anni in cui negli ambienti medici fa irruzione la psicanalisi fondata da Sigmund Freud che nel 1900 aveva pubblicato la sua “Interpretazione dei sogni”.

Gaetano Perusini

Orso Buggiani e Bruno Lucci

Il 1906 è anni memorabile per un altro aspetto: il premio Nobel viene assegnato a due italiani: per la letteratura a Giosue Carducci e per la medicina e fisiologia a Camillo Golgi, i cui studi sulle cellule tra l’altro saranno alla base del lavoro di Alzheimer e Perusini. Cercando la cause organiche della malattia mentale, indagando sul sistema nervoso, lo psichiatra friulano viene inviato da Mingazzini a Monaco nella clinica fondata da Emil Kraeplin e dove lavora Alois Alzheimer. Con Perusini ci sono il solito Cerletti e un altro compagno di studi, Francesco Bonfiglio. E’ un’epoca di grande dibattito negli ambianti medici sulla malattia mentale fino ad allora ritenuta effetto della sifilide e dell’alcolismo, sulle malattie degenerative, sulla demenza e appunto sulla psicanalisi. Ed è in quell’ambiente che Alzheimer ha l’intuizione che cambia l’approccio nei confronti delle demenze e affida a Perusini il compito si approfondire una serie di casi, fornendo le risposte che appunto aprono nuove prospettive nella ricerca medica. E Kraeplin conierà il nome di malattia di Alzheimer, lasciando in ombra lo studioso italiano, forse perché ancora molto giovane, mentre il medico tedesco ha già un’importanza non trascurabile nell’ambiente scientifico. E’ il 1907.
Dopo tre anni, Perusini torna in Italia e con l’aiuto di Cerletti trova un posto come assistente all’ospedale di Mombello. In quel periodo, lo stesso Cerletti e un altro celebre psichiatra, Paolo Pini, fondano un istituto ricerca ipotizzando che possa essere diretto da Perusini, il quale rifiuta, nonostante potesse essere una rivincita nei confronti di quelle commissioni che in più di una occasione ne avevano bocciato le domande d’ammissione in questa o quella clinica.
Il 14 maggio 1915 c’è aria di guerra anche per l’Italia dopo che già da nove mesi si combatte in Europa. Perusini si presenta all’ospedale di Bologna e si arruola come medico volontario, nonostante potrebbe farne a meno essendo ormai libero docente e di fama internazionale, scrivendo su molte riviste di peso. Trasferito in Friuli, gli viene proposta la direzione di un ospedale militare in pianura, ma preferisce fare il medico in prima linea. Il 27 novembre 1915 è a San Floriano del Collio, quando viene colpito da una pallottola. Muore l’8 dicembre.
Nel suo racconto, Lucci si è anche soffermato su certi aspetti un po’ rocamboleschi della ricerca; la tesi di laurea salvatasi miracolosamente dalla distruzione e trovata in maniera fortuita in uno scantinato, la medaglia d’argento per meriti di guerra che chissà dov’è finita, la foto spiegazzata perché probabilmente conservata nel portafoglio della fidanzata.

Emanuele Manzoni e Andrea Corti


Da parte sua, Bugiani ha parlato di un uomo che non ha mai avuto dal suo Paese quello che avrebbe meritato, anche se a un certi punto nella trattatistica specialistica a proposito di demenza si parla della malattia di Alzheimer-Perusini. «Bisogna vedere - la riflessione – se ciò è avvenuto per un movimento del cuore o per ipocrisia. Credo per ipocrisia. Lui era una persona scomoda, parlava chiaramente per la sua formazione mitteleuropea e ciò non era gradito negli ambienti medici e universitari italiani. Per questo Perusini si sentiva mortificato. Il primo a rendergli merito, nel 1925, fu Francesco Bonfiglio e quello fu sì un moto del cuore, ma si trattava di una compagno di studi che aveva condiviso i giorni di Monaco. Quelli venuti dopo, probabilmente no. Tanto ormai, Perusini era morto e non dava fastidio più a nessuno. Tanto più che c’era un regime al quale faceva comodo avere il nome di un italiano accanto a quello di un tedesco. Anche se il valore gli è poi stato riconosciuto, certamente se non fosse morto avrebbe fatto grandi cose».
Considerazione, questa, che in qualche modo si legano alle parole pronunciate nel suo intervento di saluto al convegno dall’assessore comunale al sociale Emanuele Manzoni per il quale occasioni come queste sono utili per riflettere sui costi occulti delle guerre, sulle tante occasioni mancate: «Quanti Gaetano Perusini ci hanno tolto le guerre?».
Perché – aveva detto in precedenza Salmaggi – «se la storia non ci insegna a non fare le guerre, ci ha però portato a conoscere quella grande macchina che è il corpo umano. E oggi, nonostante le tante tecnologie, abbiamo ancora bisogno dell’istopatologo», vale a dire del medico che seziona e studia le cellule. Come appunto faceva Perusini.
Alla serata hanno inoltre portato il loro saluto anche il presidente dell’Ordine provinciale dei medici Pierfranco Ravizza e il sindaco di Moggio Andrea Corti, a ricordare il legame, stretto dopo il terremoto che ha devastato il Friuli nel 1976,  tra il paese valsassinese e quello friulano di Moggio Udinese, dove abita Bruno Lucci.
D.C.
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