Nel romanzo di Gianluigi Daccò un processo lecchese per stregoneria: l'autore protagonista a Villa Manzoni

Un processo lecchese per stregoneria al centro del romanzo di Gianluigi Daccò, per trent’anni direttore dei musei civici cittadini, anzi il “fondatore” del sistema museale come lo presenta l’attuale direttore Mauro Rossetto. Si intitola “La donna del gioco”, richiamando naturalmente la “Domina ludi” della caccia alle streghe anche se nell’opera di Daccò il riferimento è ambiguo, intrecciandosi nella ricostruzione della storia delle streghe lecchesi anche una tormentata vicenda d’amore che lega il protagonista a una donna “fatale”.
E’ presentato come il primo romanzo di Daccò, il quale in passato ha pubblicato solo testi di museologia, oltre a una storia di Lecco stampata da “Cinquesensi” della bellanese Sara Vitali, che edita anche questa nuova fatica, presentata nella terza giornata del festival “Lecco città dei Promessi sposi”. A parlarne, il celebre manzonista e docente all’Università dell’Insubria Gianmarco Gaspari oltre naturalmente all’autore, accanto agli stessi Rossetto e Vitali.


Luigi Gaspari, Mauro Rossetto, Gianluigi Daccò, Sara Vitali, Gianfranco Scotti

Come detto, le vicende che si intrecciano sono almeno due: quelle personali di Vico Dorio, storico licenziato della soprintendenza che apre una galleria d’arte contemporanea in una città che si chiama Lariana che potrebbe essere un po’ Lecco e un po’ Como, anche se certi riferimenti (il Caleotto, San Pietro al Monte, Sant’Ulderico) ci portano naturalmente sulle sponde nostrane. Perché lecchesi erano anche le quattro streghe al centro del processo cinquecentesco, una delle quali è la valsassinese Bissaga rimasta nelle leggende locali e che aveva anche trovato posto nell’ottocentesco Lasco di Antonio Balbiani.
Il processo risale al 1571: le streghe furono inizialmente condannate al rogo come del resto era desiderio di san Carlo Borromeo. Alla sentenza si oppose l’allora consiglio cittadino che ne ottenne l’annullamento per irregolarità. Dopodichè, dal punto di vista storiografico, nulla più si sa: «Ecco – ha spiegato Daccò – io mi sono inventato il seguito».


Gianluigi Daccò

Sulla decisione di produrre un romanzo, l’autore ha spiegato come in verità questo non sia il primo che abbia scritto, ma «è il primo che pubblico, perché in realtà ho sempre ideato storie, ma non le ho mai fatte leggere a nessuno e le ho quasi tutte distrutte». Poi, durante il primo lockdown per la pandemia, «stavo finalmente sistemando la libreria di casa e ho ritrovato un quadernone con cose scritte tra il 1984 e il 1990, mentre contemporaneamente mi stavo occupando di quel processo lecchese per stregoneria»: le due storie si sono così fuse, anche se – come ha rilevato Gasperi – altre suggestioni sono offerte dalla narrazione. Da parte sua, Daccò ha anche ricordato come il cuore del libro sia l’eterno interrogarsi sullo scontro tra bene e male.


In quanto al luogo, di là dall’appartenenza dell'autore a questa terra, egli stesso ricorda come, fin da ragazzino, abbia inventato città e isole, «i miei compagni di scuola si ricordano», e così è nata Lariana che è un incrocio tra Lecco, Como e altre località: «Come una geografia immaginaria, ho anche pensato a una storia fantasiosa, ipotizzando che il Medeghino non fosse stato sconfitto e che nel Cinquecento a governare Lariana ci fossero appunto i suoi eredi».
In quanto al processo, «tutti i documenti dell’inquisizione in Lombardia sono stati distrutti, ma sono rimasti quelli della Valtellina e del Canton Grigione perché lassù erano i Comuni a occuparsi di questi affari. Ho così consultato gli archivi di Bormio, Poschiavo, Sondrio per vedere cosa dicessero le streghe nelle loro confessioni». Ricordando come uno dei grandi problemi dei procedimenti giudiziari dell’epoca fosse che l’autorità si esprimeva in latino o in un italiano non ancora definito e soprattutto diffuso, mentre le persone del popolo solo in dialetto.


Francesco De Cristofaro, Mauro Rossetto, Margherita De Blasi, Giusi Vassena

La chiacchierata si è poi allargata a parlare dei tanti rimandi letterari contenuti nel romanzo e agli inevitabili spunti manzoniani. E naturalmente al dialogo tra il testo e le illustrazioni, una serie di incisioni e disegni pescati dall’archivio del bellanese Giancarlo Vitali, l’artista “scoperto” negli anni Ottanta del Novecento da Giovanni Testori e padre appunto di Sara. Incisioni e disegni che in alcuni casi hanno anche condizionato l’evolversi della narrazione, suggerendo alcuni episodi.
Alcuni brani del romanzo sono stati letti da Gianfranco Scotti. L’incontro con Daccò ha così concluso un pomeriggio dedicato alla stregoneria. Era infatti stato aperto da un momento dedicato all'opera ottocentesca “Caterina Medici di Brono”, condannata appunto al rogo all’inizio del Seicento. A scriverla fu Achille Mauri, assistente di monsignor Luigi Tosi che fu il confessore di Alessandro Manzoni e pertanto ne frequentava assiduamente la casa. E molto dell'autore de "I Promessi Sposi" c’è in quella storia di Mauri.


I pasticcieri dell'Enaip con il maestro Marco Gennuso

A parlarne con Margherita De Blasi, docente all’Orientale di Napoli ma soprattutto curatrice di una nuova edizione del libro (uscita nel maggio di quest’anno dall’editrice “Officina Libraria”), Francesco De Cristofaro dell’Università Federico II del capoluogo campano e il direttore dei musei Mauro Rossetto. Nell'incontro è stato sottolineato come Mauri abbia peraltro romanzato la storia al punto da modificarne addirittura l’esattezza. La quale sarebbe stata ripristinata nel Novecento da Leonardo Sciascia con il racconto “La strega e il capitano”. All’attrice Giusi Vassena, il compito di leggere alcuni brani di entrambi i lavori.
Teatro degli incontri, le scuderie di Villa Manzoni, per l’occasione trasformate in sala da tè per la degustazione di pasticcini preparati, sotto la guida del maestro Marco Gennuso, dagli studenti del Centro di formazione professionale Enaip di Lecco.
D.C.
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