35 anni fa lo schianto dell'ATR 42: i ricordi ancora da brividi del professor Negri

Immagini delle operazioni di recupero dei
pezzi dell'aereo precipitato
Ricorre oggi il trentacinquesimo anniversario dal tremendo schianto dell'aereo Atr 42 "Città di Verona" della compagnia Ati che, per l'appunto,  il 15 ottobre 1987 partì da Milano Linate per Colonia. Precipitò a Conca di Crezzo. Purtroppo nessuno sopravvisse a quello schianto che costò la vita a 34 passeggeri, in gran parte tedeschi e ai tre membri dell'equipaggio. Morì poi anche un soccorritore, un carabiniere 19enne.
L'aeromobile andò in stallo nei cieli sopra Lecco nella zona delle Grigne per poi virare pesantemente verso l'abitato di Onno, prima di schiantarsi in un punto impervio poco sotto il Ristorante La Madonnina, a quota 750 metri.
«Stiamo precipitando». È l’ultimo grido del pilota registrato dalla scatola nera alle 19.29 del 15 ottobre 1987. L’aereo era partito quindici minuti prima, in ritardo di circa un’ora sulla tabella di marcia a causa del maltempo e dell’intenso traffico nei cieli. La causa dello stallo è stata poi attribuita al ghiaccio accumulato sulle ali che avrebbe modificato il profilo alare di portanza.
Tutto in 50 secondi.

Ripercorriamo l'accaduto grazie alla testimonianza del professore e giornalista Pierfranco Negri che prestò servizio fin da subito tra le file dei soccorritori in quanto profondo conoscitore del territorio.
"Ero vicino alla finestra, in casa a Onno. Sentii distintamente il rumore, vidi la scia luminosa e dopo un attimo i bagliori dell'esplosione. Molti sostenevano che l'aereo fosse incendiato al momento dell'impatto, invece quando andò in stallo si accesero i fari che, nella pioggia,  facevano apparire il velivolo incendiato" ricorda. "Subito partii, avvisai il 112 e gli dissi che conoscendo il territorio, l'aereo lo avrebbero trovato alla Conca di Crezzo. Allertai anche l'ambulanza di Asso, allora non c'era il 118. Salii sotto la pioggia: c'era odore di cherosene, cani che abbaiavano e allarmi di abitazioni attivi. Le prime ambulanze sul luogo furono quelle di Asso, Erba e le Sos di Canzo. Poi Lecco, Como e Bellagio" prosegue. "Io ero tra i pochi che avevano carta bianca per accedere nel luogo dello schianto, gli altri mezzi venivano bloccati più a valle. Quasi subito arrivò la conferma che non vi era alcuna rilevazione del segnale dell'aereo, ciò significava che era andato distrutto. La mattina successiva non sapevamo cosa avremmo trovato” ha aggiunto, tornando alla memoria poi al momento in cui la tragedia si palesò in tutta la sua freddezza dinnanzi agli occhi di chi, come lui, si occupò delle operazioni successive all'individuazione del velivolo.
Pierfranco Negri
“Trovammo pezzi di oggetti e non avemmo nemmeno il tempo per realizzare che stavamo trovando anche brandelli di corpi. In un memento successivo intervenne anche l'esercito per aiutarci. Eravamo avvolti da un senso di angoscia e di impotenza nel momento in cui ci si palesò davanti la reale situazione, in quell'istante svanì in noi ogni possibilità o speranza di trovare qualcuno in vita. C'erano tanti frammenti di aereo. Dovemmo tagliare anche un grosso albero perché tanti pezzi si erano conficcati nel tronco e andavano recuperati. In quel punto, poco tempo dopo, fu installata una croce. La prefettura di Como preferiva avere in loco persone che conoscessero il territorio. Noi presidiammo la zona 40 giorni, dovevamo anche controllare che non ci fossero sciacalli. In realtà due furono colti con le mani nel sacco e arrestati. Un giorno arrivò il tecnico motorista, la prima cosa che disse fu che i motori giravano regolarmente. Gli chiesi come avesse fatto a capirlo, mi rispose dal colore delle palette della turbina". Aveva ragione.
La testimonianza di Pierfranco prosegue con un toccante aneddoto: "anni dopo l'incidente mi trovavo in gita scolastica e portai i miei ragazzi alla Corneliani abbigliamento. Trovai un padre e tre fratelli ad accoglierci. Prepararono un rinfresco per tutti noi, una tavola incredibile. Chiedemmo se riservassero quel bel trattamento ad ogni scolaresca. La risposta fu che con la gente di Lecco erano sempre molto accoglienti, perché la sorella era morta in montagna a causa di un incidente aereo. Mi si raggelò il sangue perché collegai che la Hostess di Bordo del volo atr 42 era la sorella di quei ragazzi. Loro non sapevano che avrebbero ospitato uno dei soccorritori nella propria azienda, lo scoprirono in quell'istante. Fu un momento molto forte, gli spiegai che avevo seguito gran parte dei soccorsi. Mi dissero che con Lecco avevano un grosso debito, perché tante persone locali si erano spese per sostenerli durante e dopo la tragedia".
Per tutti i parenti delle vittime venne istituito un servizio di supporto psicologico, si presentò anche il vescovo di Milano. “Arrivarono subito il giorno dopo la tragedia e vennero fatti alloggiare in strutture vicine. Una delle cose che più rimase impressa nei soccorritori fu la presenza delle due bare bianche contenenti i corpicini di due bimbe e, vicina, quella della madre” ha aggiunto, ancora emozionato, il giornalista di Onno.
"Il mio ricordo va alle vittime, ai famigliari, ai soccorritori, al carabiniere morto. A tutti coloro che hanno contribuito alle operazioni di recupero va la mia gratitudine per l'impegno dimostrato. Questa esperienza di vita mi ha  permesso di affrontare le avversità con più determinazione" la sua chiosa.
A.G.
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