La Patria del ciclismo siamo noi


Nel giorno in cui l’ultimo grande campione italiano, Vincenzo Nibali, lascia il ciclismo sulle strade italiane del Giro di Lombardia, un altro grande campione riporta in Italia il record dell’ora, a trentotto anni dal gennaio 1984 di Francesco Moser. In sessanta minuti, partendo da fermo, sulla pista del velodromo svizzero di Grenchen Filippo Ganna ha percorso 56 chilometri e 796 metri, più di ogni altro uomo prima di lui, compresi coloro che vi si cimentarono in velodromi in altura, dove l’aria è più rarefatta, e correndo su bici dalle forme avveniristiche ma non omologate, con posizioni in sella ai limiti della guidabilità.
Filippo l’ha fatto in sella a una bicicletta di nove chili e trecento grammi, pesantissima rispetto a quelle in leggerissimo carbonio usate nel pomeriggio dagli scalatori che hanno affrontato le salite lombarde. Ma la bici che ha trionfato al Lombardia a Como sotto le gambe di Tadej Pogacar e quella spinta da Filippo Ganna hanno una cosa in comune: sono entrambe italiane. Una Colnago quella dello sloveno della UAE e una Pinarello quella del corridore della Ineos Grenadiers.
Se su strada si pedala sfidando gli altri, scattando in faccia agli avversari, succhiandone magari le ruote, bluffando, circondati dalle moto, spinti dagli applausi della gente sull’asfalto ruvido, nel record dell’ora si corre nell’ambiente asettico di un velodromo, riscaldato alla giusta temperatura per favorire la penetrazione aerodinamica, percorrendo sempre la stessa strada per duecento e rotti giri, con le mani protese in avanti e la schiena dritta, pancia a terra, con nessun altro avversario e nessun’altra compagnia se non sé stessi.
Vincenzo Nibali, uno scalatore, passa il testimone a Filippo Ganna, un cronoman: la patria del ciclismo è l’Italia.
Stefano Motta
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