In viaggio a tempo indeterminato/250: ancora in Iran, tra le proteste delle donne e l'incontro con un... 'lecchese'

Prima di raccontarvi una delle coincidenze più assurde di sempre, che persino un allineamento di tutti i pianeti era più probabile, vorrei parlare un attimo della situazione attuale dell'Iran. La notizia della morte di Mahsa Amini, avvenuta mentre era stata arrestata dalla polizia della morale con l'accusa di non aver indossato correttamente il velo, ha dato il via a una serie di proteste in tutto il Paese.
A guidare i cortei le donne, scese in strada per lottare per il loro diritto ad essere libere. In Iran infatti, da 40 anni a questa parte, una legge impone loro di indossare un velo che copra i capelli e il collo, indipendentemente dal loro credo religioso o dalla loro provenienza. Ma questa è in realtà solo la punta dell'iceberg di una serie di regole e imposizioni che vanno a minare la libertà del popolo iraniano che oggi non si riconosce nel suo governo.
Da qui le proteste che, purtroppo, le forze dell'ordine stanno reprimendo in modo violento. Molte le persone che stanno perdendo la vita in questi giorni, mentre lottano per un Iran migliore. E noi non possiamo che essere vicini a questo popolo, il più accogliente e generoso che abbiamo mai incontrato sul nostro cammino e che oggi, più che mai, ha bisogno che i riflettori rimangano accesi. Perché se ci dimenticheremo dell'Iran e della sua lotta per la libertà, li lasceremo soli a combattere una battaglia che in realtà è di tutti noi.

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Dopo questa parentesi, ora vorrei raccontarvi di un incontro che mai mi sarei aspettata di fare, soprattutto non ora e non qui. Eravamo stanchi e decisamente frastornanti quando abbiamo mandato un messaggio a Parsa. Il suo profilo ci è comparso per caso sul sito dove ci si scambia ospitalità.
Stavamo decidendo se proseguire o fermarci ancora un po' a Mashhad, la città più religiosa dell'Iran, quando abbiamo letto: "Ho vissuto 8 anni in Italia".
Non ci abbiamo pensato due volte e l'abbiamo contattato.
L'idea di poter parlare in italiano con un ragazzo iraniano ci allettava così tanto da far saltare tutti gli eventuali altri programmi.
"Ciao ragazzi certo, incontriamoci!" ci scrive Parsa esattamente 5 minuti dopo. Ha i capelli scuri e uno sguardo profondo ed educato, un portamento elegante e un sorriso contagioso. Ci invita in casa sua e come prima cosa ci offre un espresso.
Quel sapore forte e deciso del caffè me lo ero dimenticato. Saranno mesi che non ne bevo uno, e sono sicura non mi farà dormire questa notte.
Parsa parla italiano perfettamente e se non fosse per quei suoi lineamenti che ho imparato a riconoscere qui in Iran, direi che è italiano al 100%.
"No, solo al 66%" mi dice lui quando glielo faccio notare.
"Ho fatto una specie di test qualche tempo fa ed è venuto fuori che la mia italianità è al 66%. Credo che non avere un bidet in casa mi abbia fatto perdere qualche punto". Sorrido e mi sembra surreale essere nel punto più a est dell'Iran a parlare di bidet mentre sorseggio un caffè.
Questo perché ancora non sapevo cosa avrei scoperto dopo.
"Parsa dove hai vissuto in Italia?" chiede Paolo.
"Ho vissuto a Lecco".
Cala il silenzio.
Io e Paolo ci guardiamo straniti.
"Scusa hai detto Lecco?"
"Sì Lecco, perché?"

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Lecco, diciamocelo, non è che sia proprio la prima città che viene in mente pensando all'Italia. Senza nulla togliere al lago e al Resegone, le prime mete per chi si trasferisce dall'estero in genere sono altre. Parsa, però, aveva scelto Lecco.
"Studiavo architettura al Politecnico nella sede di Lecco. Mi piaceva il fatto che non fosse caotica come Milano ma abbastanza vicina alla metropoli da poterla raggiungere per fare festa la sera".
Lo 0,00001%. Credo fossero queste le possibilità che c'erano di incontrare un ragazzo iraniano che aveva vissuto nella nostra stessa città. Eppure è successo.
Mi verrebbe da dire che il mondo è davvero piccolo.
Ma la realtà è che, viaggiando, ho iniziato a pensare che nulla accada per caso.
E se sul nostro cammino abbiamo incontrato Parsa, scoprendo tra l'altro che andava a fare colazione nello stesso bar dove andavamo noi, è perché avevamo bisogno di ricordarci che siamo tutti fratelli, uniti da un filo invisibile.
E se un nostro fratello soffre, combatte o è in difficoltà, non possiamo girarci dall'altra parte.
Potevo esserci io ora a lottare per la mia libertà in una strada dell'Iran, mentre Mahsa beveva un cappuccino in un bar vista lago.
È tutta questione di fortuna in che parte di mondo si nasce.
Angela (e Paolo)
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