Lecco, Immagimondo: 'la montagna che non si spopola più' al centro di due incontri

La montagna che si spopola. Anzi no, non si spopola più: in certe località gli abitanti tornano a crescere, in molti casi grazie agli immigrati stranieri. Oltre, naturalmente, a certi episodi di eroica resistenza come è il caso di Codera, in Val Chiavenna, zona che molti lecchesi frequentano e amano oltre che essere patria d’elezione dello scoutismo lombardo.
Una domenica pomeriggio dedicata alla montagna nell’ambito della rassegna di “Immagimondo” promossa da “Les Cultures” con due incontri tenutisi a Palazzo Falck per la presentazione di altrettanti libri: “Montagne di mezzo” del geografo Mauro Varotto (editore Einaudi) e “Gente di montagna” del giornalista Franco Faggiani (Mulatero).



Con Varotto e con l’antropologa Maria Molinari si è appunto parlato di quella montagna in qualche modo dimenticata per non essere sulla mappa del turismo di massa, che è andata spopolandosi negli anni Sessanta del secolo scorso, quando i suoi abitanti si sono lasciati alle spalle le fatiche contadine per scendere a valle, trovare lavoro in fabbrica e poter condurre una vita meno stentata. Per quanto politiche differenti avrebbero potuto arginare l’esodo, ma allora le scelte economiche furono quelle di favorire l’industrializzazione. E del resto, guardando alla montagna, troppo spesso ci si ferma alla montuosità e non si pensa alla “montanità”, vale a dire alle attività umane che consentono di viverla e di viverci e nel contempo di salvaguardarla, perché la natura incontaminata è soltanto un mito, l’inselvatichirsi dei boschi non è certo un fatto positivo. Il mito, appunto, che si è trasformato in marketing veicolando il messaggio della “purezza” e del “prodotto tipico” che il più delle volte ormai è di fattura industriale.



Qualcosa sta cambiando, però. Ed è appunto il ritorno alla montagna. Di chi “scappa dalla città”, ma anche dei nuovi italiani, gli stranieri che ormai hanno messo radici nei nostri villaggi in quota: alcuni arrivativi direttamente, altri invece che hanno lasciato i centri urbani dopo la crisi del 2008 alla ricerca di alloggi più a buon mercato e andando a offrire quelle professionalità che andavano scomparendo, nell’agricoltura e nella stessa filiera industriale alimentare (la casearia e i salumifici). Così, in certi villaggi, gli stranieri sono presenti in percentuale altissima e fanno ormai parte della comunità, come quei cingalesi che sull’Appennino portano in processione la Madonna perché i vecchi del luogo non hanno più le forze per farlo. Perciò servirebbe una legislazione più aggiornata, anziché continuare a parlare di “crisi migratoria” quando è ormai un fenomeno costante da mezzo secolo e inarrestabile, anziché continuare a considerare gli stranieri come di passaggio, presenze temporanee, visto che ormai da tempo vivono qui, comprano casa qui.


Maria Molinari e Mauro Varotto

E la “gente” di montagna è appunto quella che racconta Faggiani nel suo libro che raccoglie 35 ritratti di persone che vivono in quota, «ma non è gente famosa: contadini, muratori, boscaioli, i costruttori di muretti a secco e quelli che i muretti a secco li ripuliscono, i raccoglitori di capelli della Valle Maira in Piemonte, fino alla guardiaparco del Gran Paradiso, Milena Bethaz, vent’anni fa colpita da un fulmine che ha ucciso un suo collega e le ha provocato alcune menomazioni e che nel 2016 ha ricevuto dal presidente Sergio Mattarella l’onorificenza di cavaliere della Repubblica. Fino all’ostinata resistenza del paese di Codera, che si raggiunge solo a piedi, salendo da Novate Mezzola per circa tremila gradini: vi risiede stabilmente una decina di persone, la più giovane un uomo di 43 anni e la più anziana di 94. A raccontare l’ostinazione del piccolo villaggio, all’incontro condotto da Tino Mantarro, redattore di "Touring", ha partecipato anche Roberto Giardini, uno dei fondatori – quattro decenni fa – dell’associazione “Amici di Val Codera”. Allora, in paese abitavano ancora 25 persone delle circa 500 anime che si contavano nel Seicento quando la località era fiorente e autosufficiente in tutto: «Non volevamo che il paese sparisse – ha detto Giardini – e allora abbiamo costituito l’associazione per non perdere la memoria e soprattutto senza turisticizzarlo o renderlo “tipico”, mantenendolo quindi inalterato nelle sue case e nel suo paesaggio, “vero” e autentico. Collaboriamo con il Servizio civile internazionale: ogni anno viene qualche giovane straniero a lavorare da noi, abbiamo lasciato due esercizi pubblici in funzione tutto l’anno, abbiamo realizzato un albergo diffuso, cerchiamo di recuperare l’agricoltura».


Roberto Guardini e Franco Faggiani

Da Codera passa anche il “Sentiero Italia” del Cai (al quale è stato peraltro dedicato un documentario, “Va’ Sentiero”, presentato il giorno precedente sempre nell’ambito di “Immagimondo”). E Faggiani era presente in paese quando la troupe arrivò accolta da veri e propri festeggiamenti con tanto di tenore che giunse in paese mezzo morto dopo i tremila gradini.
L’occasione è servita per parlare anche di un altro libro di Faggiani (“Meraviglie delle Alpi”, editore Rizzoli) con una serie di itinerari tra i quali anche uno che riguarda i lecchesi. Ed è il percorso che compivano i bergamini per scendere dai pascoli valsassinesi a Milano, dove avevano latterie e caseifici, e nella pianura lombarda dove poi avrebbero dato vita a quelle grandi aziende che per decenni sono state - e alcune ancora sono - tra i più famosi marchi dell’industria alimentare italiana.
D.C.
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