Lecco: tra paralleli storici e ricordi personali, Lorenzo Cremonesi racconta la sua esperienza di inviato di guerra

“Mi hanno detto che questo è un libro risorgimentale e per me è un vanto”. Nell’affermarlo la voce di Lorenzo Cremonesi era ferma e decisa, segno che in quella frase ci crede fino in fondo. Giovedì sera, il silenzio nel cortile della pizzeria Fiore era totale, l’attenzione della platea massima. Davanti alle porte d’ingresso del locale confiscato alla mafia nel 1992 una piccola folla. Gli intervenuti erano accorsi per lui, per il giornalista del Corriere della Sera e per il suo testo “Guerra Infinita. Quarant’anni di conflitti rimossi dal Medio Oriente all’Ucraina” edito da Solferino.

Lorenzo Cremonesi e Luca Cereda

“Un po’ reportage, un po’ cronaca personale, un po’ un saggio di guerra” lo ha definito Luca Cereda, giornalista e moderatore della serata. È un testo complesso quello di Lorenzo Cremonesi, così come sono complesse le realtà in cui lui ha lavorato, dalla Palestina all’Afghanistan, dall’Iraq alla Libia fino ad arrivare all’Ucraina. Ma è anche un tentativo di trasportare il lettore nelle riflessioni che queste esperienze hanno innescato. “Questo libro vuole essere personale ma anche un po’ una biografia di una generazione. Non è figlio della guerra in Ucraina ma di una mia preoccupazione cresciuta a partire dalla comparsa di ISIS: quanto gli italiani nati nella seconda metà del secolo scorso si siano illusi che la guerra fosse un’esperienza che non gli appartiene più” ha spiegato Lorenzo Cremonesi. Negli anni della sua giovinezza, però, la situazione era diversa. “La guerra era immanente, se ne parlava tutti i giorni. La realtà della guerra è parte della nostra formazione” ha aggiunto infatti il giornalista del Corriere della Sera.

Il padre di suo padre è morto suicida dopo che la sua azienda e la sua casa erano andati distrutti nel corso dei bombardamenti su Milano durante il secondo conflitto mondiale. “La guerra è carsica e io ne ho molta paura. Produce effetti deleteri sulle persone, le quali si abituano ad uccidere. Durante la guerra i civili non possono muoversi, non hanno benzina o corrente elettrica. Nonostante questo, credo che si debba essere pronti a fare la guerra se necessario, per esempio per difendere alcuni valori fondamentali” ha proseguito Cremonesi. Chiaramente, il pensiero di tutti è andato all’Ucraina. “Gli ucraini combattono per difendere il principio dell’autodeterminazione dei popoli. Zelensky ha interpretato il desiderio di resistenza della sua gente che non vuole stare sotto il tallone russo” ha sottolineato l’autore. “Noi non siamo consapevoli che dobbiamo difendere i nostri valori e chi, proprio guardando a quei valori, vorrebbe venire in Europa. Prendiamo per esempio l’Afghanistan. Quando gli estremisti sono entrati a Kabul, nessuno degli occidentali o dei loro alleati afgani ha provato a respingerli. Oggi le donne non possono più andare a scuola e il paese è allo sfascio”. A volte la questione è in realtà molto più semplice: incapacità di un governo, per esempio quello italiano, di sviluppare delle strategie di politica estera adeguate. “Quando Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, ha catturato e incarcerato alcuni pescatori di Mazara del Vallo, Conte e Di Maio sono andati da lui praticamente in ginocchio e non è chiaro se gli abbiano dato qualcosa in cambio” ha spiegato Cremonesi. “Pochi giorni dopo è stato catturato un cargo turco. Ankara ha intimato ad Haftar di rilasciare la nave e i suoi marinai, altrimenti avrebbe considerato Haftar e i suoi collaboratori come obbiettivi legittimi. Due giorni dopo, i pescatori erano stati liberati”. Ma le riflessioni sulla politica estera italiana continuano. “In Libia ISIS si è insediato a Sirte nel 2016. Sono stati gli statunitensi e le milizie di Misurata a combatterlo. L’Italia ha inviato un ospedale che ha raggiunto la piena operatività tre mesi dopo la fine delle ostilità” ha aggiunto il giornalista del Corriere della Sera.

“Il bello del giornalismo è andare sul campo e contraddirsi. È umano avere i pregiudizi o sbagliare, l’importante è non fossilizzarsi anche perché il privilegio del reporter è proprio andare sul campo e ascoltare. Viva i giornalisti che cambiano idea” ha sottolineato Lorenzo Cremonesi guardando verso i giovani seduti davanti a lui. Il lavoro sul campo è anche un modo per ovviare alle distorsioni create dal mondo dei social. “In tanti hanno letto il fenomeno delle primavere arabe limitandosi a guardare i social network. Di fatto però, in alcuni Paesi quello è stato un fenomeno per lo più elitario e urbano. In quel periodo ero in Egitto e mi sono recato in un villaggio agricolo dell’alto Nilo: non solo nessuno sapeva niente della rivoluzione ma c’era qualcuno che diceva di voler votare per Nasser, morto mezzo secolo prima” ha raccontato Cremonesi.
“Sono stato tra i primi in Italia a dire che Putin non sarebbe riuscito a vincere perché la sua strategia, fondata su una rapida presa di Kiev, era fallita. Putin ha sottovalutato gli ucraini e ora i russi arrancano. Tra poco però tornerò in Ucraina e vi dirò che cosa succede davvero e se le mie idee cambieranno” ha raccontato Lorenzo Cremonesi. Il suo volto lasciava trasparire un coraggio e una determinazione che mancano a molti di quegli “analisti geopolitici da divano” che hanno popolato le tv in questi mesi, annoiando l’udito degli ascoltatori.
Andrea Besati
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