Scaffale lecchese/116: un volume dedicato alla ex ss36, 'la strada stretta tra monti e lago'
Sarà forse un destino che le strade lecchesi verso l’Alto Lago e la Valtellina siano causa di periodici crucci. Del resto fin dagli albori dovettero fare i conti con il «distacco dai monti di voluminosi macigni». Per esempio, «molta impressione lasciò il rovinoso smottamento che nel 1857 interessò il tratto varennese all’altezza di Morcate. Al quale seguì un piccolo tsunami che causò vittime addirittura a Menaggio».
A proposito di albori: è proprio di questo decennio la ricorrenza dei duecento anni della strada “austriaca” essendo del 1819 la decisione di realizzare lungo la sponda orientale del Lario quello che, congiungendosi alla strada dello Stelvio, doveva essere il collegamento tra Milano e Vienna; del 1820 il progetto preliminare; del 1824 l’avvio dei lavori; del 1831 il completamento: una tabella di marcia che agli occhi nostri appare incredibile, soprattutto considerando che per la “superstrada” di fine Novecento il cantiere sarebbe rimasto aperto per circa vent’anni.
A raccontare la storia della strada è un libro pubblicato nel 2018 dall’Associazione culturale Scanagatta di Varenna (stampato da Grafica Colombo di Valmadrera) a coronamento di una ricerca complessiva sui trasporti locali che aveva visto in precedenza l’attenzione rivolta alla navigazione e alla ferrovia.
Fino ad allora «il tratto da Lecco a Bellano non era dotato di nessuna strada vera e propria che costeggiasse il lago e (…) si doveva passare per la Valsassina attraverso la cosiddetta “via del ferro”»: è quella che da Milano e Monza attraversava la Brianza, raggiungeva Lecco e prima di salire fino a Premana e alla bocchetta di Trona, toccava Taceno dove «una diramazione scendeva fino a Bellano». Da Bellano a Colico, il tratto «era dotato di un percorso adatto solo al trasporto someggiato», mentre la cosiddetta Strada della Riviera, «meglio conosciuta come “sentiero del viandante”, non era altro che un lungo sentiero a tratti ripido e stretto che, per quanto curato nella sua struttura, era per lo più inadatto al passaggio di animali da soma».
Nel frattempo, a Lecco era stato era stato gettato il Ponte Nuovo di cui si cominciò a parlare già nel 1939 ma che fu inaugurato solo nel 1955. Ma intanto, negli anni Sessanta aveva preso forma l’idea di una nuova strada: «con l’apertura del cantiere presso la località Caviate di Lecco (…) l’Anas aveva iniziato nel 1962-63 l’ammodernamento del tratto Lecco-Abbadia Lariana adottando una sede stradale costituita da due carreggiate unidirezionali». Ma ci vorranno molti anni con vicissitudini di varia natura e tante polemiche perché si possa arrivare al taglio del nastro dell’intera nuova Statale da Lecco a Colico: si dovrà infatti attendere fino al 1987 per l’inaugurazione della “superstrada” costituita da viadotti e lunghi tunnel nelle viscere della montagna e promossa a Statale 36, mentre la vecchia strada austriaca verrà declassata a Provinciale, riservata al traffico locale, ma anche spettacolare risorsa turistica ancora in attesa di un’autentica valorizzazione. A coronamento del complesso di infrastrutture viabilistiche, l’attraversamento sotterraneo di Lecco con il terzo ponte e il tunnel del Barro, inaugurati nel 1999.
A proposito di albori: è proprio di questo decennio la ricorrenza dei duecento anni della strada “austriaca” essendo del 1819 la decisione di realizzare lungo la sponda orientale del Lario quello che, congiungendosi alla strada dello Stelvio, doveva essere il collegamento tra Milano e Vienna; del 1820 il progetto preliminare; del 1824 l’avvio dei lavori; del 1831 il completamento: una tabella di marcia che agli occhi nostri appare incredibile, soprattutto considerando che per la “superstrada” di fine Novecento il cantiere sarebbe rimasto aperto per circa vent’anni.
A raccontare la storia della strada è un libro pubblicato nel 2018 dall’Associazione culturale Scanagatta di Varenna (stampato da Grafica Colombo di Valmadrera) a coronamento di una ricerca complessiva sui trasporti locali che aveva visto in precedenza l’attenzione rivolta alla navigazione e alla ferrovia.
“La strada stretta tra monti e lago. Vicende e suggestioni della Strada Militare Lacuale da Lecco a Colico” è il titolo del volume scritto da Gianpaolo Brembilla e Marco Denti con la collaborazione di Roberto Brembilla, Giancarlo Colombo e Francesco D’Alessio.
«Nata nel 1824– si legge nell’introduzione – come strada militare carrozzabile su uno straordinario progetto dell’ingegner Carlo Donegani e realizzata in sette anni, divenne presto meta di pittori e incisori provenienti da ogni parte d’Europa, che non solo ne illustrarono il contesto paesaggistico ma ne documentarono i manufatti e le gallerie, all’epoca oggetto di speciale ammirazione. (…) Le pendenze sempre lievi di salite e discese, le pietre dei muri a lago così ben connesse da sembrare disegnate, gli efficienti e ben rifiniti scolatoi delle acque, le quarantasette zone per il ristoro con i loro centouno posti a sedere. Le cinque fontane che si incontrano lungo il percorso stupiranno il lettore per la cura dei particolari con cui la via di comunicazione fu concepita e realizzata. In due secoli di storia la strada militare da Lecco a Colico, prima SS 36 e ora SP 72, non solo ha dato molto ai paesi che attraversa e ai loro abitanti, ma è diventata l’asse lungo il quale la valle di Esino, la Muggiasca e la Valvarrone sono più agevolmente collegate a Varenna, Bellano e Dervio».
A una strada vera e propria si cominciò a pensare nel 1814, proprio nella prospettiva di collegare Milano con la capitale imperiale Vienna e più in genere con il Nord Europa, tenendo presenti le prospettive economiche e le esigenze militari. Venne dunque progettata contestualmente alle grandi strade alpine dello Spluga e dello Stelvio. Si ipotizzarono varie soluzioni. Dopo avere scartato il tracciato lungo la Valle Brembana passando per il Passo di San Marco, quello lungo la Val Camonica per l’Aprica e il riadattamento della Strada Regina lungo la sponda occidentale lariana, si scelse appunto la realizzazione di una strada tutta nuova sulla sponda orientale partendo «dall’abitato di Lecco, in particolare dalla piazza del mercato».
Busto di Carlo Donegani
La progettazione fu appunto affidata all’ingegnere Carlo Donegani, bresciano, tecnico che godeva di grande prestigio presso il governo austriaco e al quale si debbono altre grandi opere e che deve la sua fama proprio alle strade dello Spluga e dello Stelvio «considerate tra le più importanti realizzazioni dell’ingegneria ottocentesca», come si legge nel Dizionario illustrato di Lecco e provincia.Per quanto riguarda il tratto da Lecco a Colico, «il progetto elaborato – scrivono Brembilla e Denti – prevedeva di seguire per quanto possibile la linea costiera per tutta la lunghezza del percorso. In questo modo si sarebbero evitati particolari dislivelli presso il trecentesco ponte Azzone Visconti. Da qui si prevedeva di ripercorrere e adattare tracciati già esistenti passando per l’abitato di Castello. (…) Di qui si ridiscende fino a incontrare di nuovo il lago e non lo si abbandona se non per brevi tratti».
Il tratto urbano
Del tratto “urbano” ormai non resta praticamente più traccia: l’ultima testimonianza fu cancellata nel 1969 dalla tragica frana del monte San Martino alla quale seguì la realizzazione dei valli paramassi che cancellarono dalle mappe la via Stelvio. La quale via peraltro era già stata “declassata” nel 1933 quando venne fatto saltare quello sperone roccioso chiamato “brick”, del quale la toponomastica ci tramanda la memoria, consentendo così di prolungare il lungolago cittadino che divenne il collegamento principale.
Lo sperone di Olcio
I lavori per la strada, come detto, cominciarono nel 1824, furono divisi in quattro lotti e «fu subito chiaro che le difficoltà maggiori si sarebbero incontrate nel superare gli speroni rocciosi nei pressi di Olcio, Varenna e Dervio» che non potevano essere aggirati come il “brick” lecchese. Si scavarono allora ardite gallerie che appunto affascinarono pittori e illustratori. Come quel Marco Gozzi che dal governo austriaco riceveva una pensione con «l’obbligo di produrre ogni anno un dipinto» e nel 1829 fu egli stesso a proporre alle autorità «la veduta esterna di una delle gallerie testé praticate sulla nuova strada, capeggiante il Lago di Como» scegliendo «la prima galleria tra Varenna e Bellano nel monte Malpensata d’Olivedo».
Marco Gozzi, Galleria tra Varenna e Bellano
Proprio quelle suggestive gallerie, tra l’altro, furono minate all’indomani delle Cinque Giornate di Milano nel 1848 «quando gli austriaci vennero cacciati fino a Mantova» e se ne voleva ostacolare «l’eventuale ritorno dal Tirolo attraverso lo Stelvio».
La realizzazione della nuova strada lungo la costiera non poteva che essere un’autentica rivoluzione per la vita dei paesi. Infatti, «con l’apertura della strada militare incominciano a svolgere regolare servizio le diligenze. Le delegazioni postali del Regno Lombardo-Veneto si accordano affinché “la corsa del corriere si effettui con capaci e buone vetture ad uso dei velociferi” (carrozze particolarmente rapide). Il postiglione è dotato di cornetta, strumento a fiato che scandisce i momenti del viaggio col suono di segnali codificati: partenza, richiesta di passo libero e arrivo. Il servizio di trasporto pubblico su strada perde importanza fino a scomparire tra il 1892 e il 1894 con l’apertura della strada ferrata che collega Milano a Chiavenna».Con l’avanzare del Novecento, la strada sarà poi percorsa da un numero sempre maggiore di automobili e saranno quindi necessari interventi di adeguamento alle nuove esigenze. Del “brick” lecchese si è detto, ma un altro nodo da sciogliere era quello di Varenna, dove la carrozzabile attraversava il paese. Già nel 1958 si ipotizzò la realizzazione di una galleria per deviare il traffico «ma in paese prese sempre più piede il timore che il tunnel avrebbe compromesso il turismo. L’Anas, che forse non aspettava altro, accantonò tranquillamente il progetto». Dieci anni dopo, «venne installato un semaforo che consentiva il passaggio in paese solo a senso alternato. Questa soluzione rendeva però inevitabili lunghe code» così si riprese il progetto della galleria: nel 1970 si cominciò a scavare e nel 1972 ci fu l’inaugurazione.
Il libro di Brembilla e Denti, grazie anche a uno straordinario corredo fotografico, si sofferma su molti altri dettagli: si parla della trasformazione paesaggistica e culturale che la strada austrica ha portato ai paesi della sponda di questa parte del Lario, oltre a offrire agli appassionati del genere una serie di dati tecnici.
Dario Cercek