In viaggio a tempo indeterminato/245: alla scoperta dell'Iran... in autostop

"Il pollice su equivale al nostro dito medio, quindi meglio evitare. Sventolate la mano che andate sul sicuro". Ci dice Mattia quando gli raccontiamo quello che vorremmo fare. Siamo seduti in un supermercato di Tbilisi a mangiare pancake appena sfornati, ma con la testa siamo tutti altrove. Lui è pronto per la folle India, noi per iniziare una nuova fase del nostro viaggio.
I consigli dei viaggiatori sono sempre diretti e utili. Niente fronzoli ma tanta sostanza.
"I numeri sono diversi quindi ci vuole un po' a impararli e la maggior parte delle persone non sa cosa sia l'autostop!".
Ascolto Mattia e in quel momento, davanti a quei pancake pieni di crema alla nocciola, realizzo che sta per diventare realtà un altro di quei sogni che stanno dentro il solito profondissimo cassetto (lo so, più che un cassetto è un armadio a 10 ante!).

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Ed eccoci qui, svariati giorni dopo, uno zaino leggero sulle spalle e un confine da attraversare a piedi.
Sono carica, felice, spaventata, euforica, stanca e tutte mille altre sensazioni che non so neanche descrivere.
Da quella chiacchierata nel supermercato ne sono successe davvero tante.
Abbiamo fatto il visto per il nuovo Paese, assistendo per la prima volta nella nostra vita all'inizio di una rissa dentro una banca.
Poi abbiamo parcheggiato il nostro fedele compagno di viaggio, Biagio.
Quando Paolo ha staccato i cavi della batteria, ho ripensato all'anno trascorso insieme. A quando l'ho visto per la prima volta e mi ha fatto ridere per le sue dimensioni così piccole.
Mi sono ricordata di tutte le volte che pensavamo non saremmo riusciti a raggiungere un luogo e invece ci ha portato a destinazione.
Di tutte le volte che mi sono addormentata stanca ma felice in quel letto che sembrava troppo stretto.
Di tutti i piatti che abbiamo preparato in quella cucinetta delle Barbie.
Di tutte le giornate che l'abbiamo odiato perché qualcosa non andava e tutte le giornate che l'abbiamo amato perché era il mezzo perfetto per noi.
E mentre Paolo girava la chiave per scollegare il cavo nero della batteria, ho rivissuto un anno di avventure a bordo del minivan blu più piccolo del mondo.
Non ero triste nel lasciarlo, mentirei se dicessi il contrario.
Nel mio cuore e nella mia testa sapevo che avevamo preso la decisione migliore per tutti.
Ed eccoci al confine.
"Welcome to Iran!" ci dice l'ufficiale di frontiera quando ci ridà il passaporto.
Qualche centinaio di metri a piedi, il sole caldo del tramonto, il velo che mi copre la testa, Paolo con i miei pantaloni lunghi.
Abbiamo attraversato un confine di quelli che cambiano le cose e segnano un prima e un dopo. Ci scattiamo una foto davanti alla bandiera verde, bianca e rossa, colori così familiari in un luogo così lontano da tutto ciò che conosciamo.


E poi arriva quel momento, quello che aspettavo dalla chiacchierata con Mattia.
Il primo autostop in Iran.
Abbiamo deciso di visitare così questo Paese, un passaggio alla volta, una storia nuova dietro ogni portiera della macchina.
L'Iran è un Paese particolare, con una cultura ricca e misteriosa. Con regole e tradizioni difficili da comprendere. Ha il fascino del lontano ed esotico ma, se si leggono le news, incute anche un certo timore.
Noi vogliamo provare a conoscerlo davvero questo Paese. Andare oltre quello che crediamo di sapere, incontrando e chiedendo alle persone del posto di raccontarcelo.
L'autostop ci è sembrato il modo migliore per abbattere ogni barriera. Entri dentro la macchina, condividi un pezzo di viaggio e vita, costruisci un ricordo con qualcuno che fino a poco prima era un perfetto sconosciuto.
"Niente pollice su mi raccomando!" dico a Paolo.
"Ok, ma mi sa che abbiamo sbagliato direzione".
Iniziamo bene.
Poi si ferma un furgone, saliamo in fretta e ci sediamo davanti. Siamo in tre dove ci si sta in due ma non importa.
Il vento entra dal finestrino, il paesaggio fuori mi fa sentire come fossi sulla luna.
"Thank you!" dice Paolo ad Hossein, il signore dallo sguardo gentile che ci sta accompagnando.
Grazie al traduttore del telefono, capiamo che fa spesso quella strada perché trasporta coperte dal confine alla città.
"Do you like Iran?" ci chiede Hossein.
"Very nice!" dice Paolo alzando il pollice per confermare.
Ok, mi sa che abbiamo ancora molto da imparare.
Angela (e Paolo)
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