Estremismo e debito pubblico

Continuando la ricerca delle manipolazioni semantiche ( Semantica : branca della linguistica che studia il significato degli enunciati e delle parole di una lingua ) che popolano soprattutto questa campagna elettorale mediatica, non si può non imbattersi negli abusati termini di "estremismo" o meglio di "estremista" appiccicato a questo o quel personaggio politico e "Debito pubblico", spesso citato per giustificare una costante cappa gravante sulle nostre teste.
Estremista dal vocabolario è "Chi, nella politica o in altri campi, appartiene all'ala estrema di uno schieramento, propugna le idee più radicali o più avanzate, propende per azioni o soluzioni drastiche".
Ma nel linguaggio dei nostri politici ci si guarda bene, e non a caso, dal rapportare questo epiteto rispetto a ciò che configura quel presunto essere estremista.
In altri termini, se si è in presenza di una palese ingiustizia il contrastarla è segno di ragionevolezza o di negatività sociale?
In un mondo che legittima, di fatto e ben al di là dei proclami, le disuguaglianze sociali è giusto stare a guardare o essere invece radicali nel prendere posizione ed operare concretamente in vari modi per cercare di ridurle, oppure il girare la testa dall'altra parte è sinonimo di avvedutezza?
Chi manifesta più coerentemente "il senso di equilibrio"?
Quindi le definizioni di estremista o moderato non possono essere disgiunte dal contesto a cui ci si riferisce e spesso la moderazione può rappresenta il peggior alibi per il quieto vivere.
A questo rovesciamento dei significati, ma soprattutto dei giudizi che li accompagnano, hanno spesso contribuito interminabili dibattiti televisivi caratterizzati, sempre non casualmente, più da facili slogan che da genuina ricerca del "vero".
Anche il tanto evocato spauracchio del termine "Debito pubblico" può quasi sempre nascondere un improprio e truffaldino suo utilizzo rispetto a quello che dovrebbe appartenere, nella quotidianità, al cosiddetto "buon senso comune" che giustamente, ad esempio, prevede il dover onorare i debiti.
Ma un conto è restituire un prestito o saldare un debito contratto a condizioni giuste, un conto è affidarsi a meccanismi di restituzione che di fatto sanciscono operazioni speculative che penalizzano il debitore.
Per fare un esempio eloquente guadiamo al Debito pubblico italiano : il saldo tra entrate ed uscite è positivo da circa 20 anni (tranne il 2009) ma il nostro debito continua a crescere, schiacciato dalla quota interessi.
Nulla ci sarebbe da obiettare se ciò dipendesse solo da una cattiva gestione della nostra "classe dirigente", del resto spesso realizzatasi e certamente da contrastare, ma altra cosa è essere sistematicamente oppressi da tassi di interesse derivanti da un meccanismo perverso che specula sul "prestigio" e sulla, solo presunta, capacità di solvenza degli Stati.
Un meccanismo a base di spread e quant'altro che, soffiando volutamente sull'insicurezza, di fatto funge da nodo scorsoio che vanifica i giusti sforzi di riequilibrio di bilancio, mangiandosi tutti i comportamenti virtuosi e rendendo praticamente quasi impossibile il risanamento dei conti.
Quello che è più grave è che tutto questo, e non certo casualmente, condiziona pesantemente le scelte democraticamente assunte degli Stati, guarda caso, spesso a scapito delle parti più deboli della popolazione.
In sostanza, con un ribaltamento semantico, si accosta strumentalmente i principi virtuosi delle persone nella quotidianità con le prassi degenerative dei Mercati, sancendone in sostanza il primato sulle basilari esigenze umane.
Per chi volesse, della serie "riflettiamoci ".
Germano Bosisio
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.