Lecco Film Fest/2: tra il presidente Fontana e il ministro Bonetti, con Zanussi si parla anche 'dell'Est'

Il comunismo e il suo crollo, la censura e il Kgb, gli agenti segreti e la cena con Vladimir Putin, il film su papa Giovanni Paolo II, l'America, la guerra in Ucraina, la Polonia di oggi. Tanti gli argomenti affrontati dal regista polacco Krzysztof Zanussi, il primo ospite internazionale del Lecco Film Fest intervistato sul palco di piazza XX Settembre dal coordinatore editoriale della Fondazione ente per lo spettacolo Gianluca Arnone, alla quale si è poi aggiunto anche il giornalista lecchese Luigi Geninazzi, per tanti anni inviato del quotidiano "Avvenire" proprio nell'Est europeo all'epoca sovietica e non solo.

L'incontro ha ripercorso le tappe principali della vita e della carriera del cineasta nato a Varsavia il 17 giugno 1939 e con avi originari del Friuli che avevano lasciato per costruire le ferrovie polacche quando i confini dell'impero asburgico andavano dal Baltico all'Adriatico.
«Non vi auguro l'esperienza del comunismo - ha esordito Zanussi - Era un sistema assurdo, pieno di contraddizioni, ma molto doloroso. Mio padre era vulcanico, aveva ancora sangue mediterraneo e italiano e pertanto venne arrestato molte volte per le cose che diceva. Così, ho imparato che era meglio tacere che dire troppo».
Deciso a non seguire le orme del padre che voleva portasse avanti l'impresa famigliare di costruzioni, Zanussi si mise a studiare fisica abbandonando dopo quattro anni, passò a filosofia, «all'università di Cracovia dove si studiava la filosofia che si studia in Occidente mentre altrove la filosofia era semplice propaganda marxista e come molti studenti facevo molte cose: teatro e poi cinema. Ottenni anche dei premi e perciò mi scrissi alla scuola di cinema di Lodz. Mi accolsero come un talento e mi cacciarono tre anni perché, dopo un viaggio in Francia, feci un film nel genere della "Nouvelle vague" che stava nascendo proprio allora: i docenti non capirono, mi giudicarono un dilettante».

Nonostante la battuta d'arresto, però, Zanussi riuscì comunque a proseguire nella professione e ad aggirare la censura: «I censori sono personaggi frustrati, cinici, cercavano sempre scuse, non avevano nessun sentimento verso le autorità. Bisogna offrire loro delle spiegazioni che potessero giustificarli», riuscendo così a portare avanti una ricerca sulla spiritualità e Dio non certamente facile in un regime comunista. Credendo più nel mistero che nella fede, lo stuzzica Arnone: «E' il primo passo - la risposta - Se uno crede che il mondo sia spiegabile non ha un impulso verso il metafisico».
Finché, negli anni Ottanta, quelli del papa polacco, quelli della battaglie di Solidarnosc, del regime di Jaruzelsky, «il sistema si decomponeva» e sono i momenti in cui la bestia si fa più pericolosa. E' del 1981 il film "Da un paese lontano" dedicato proprio a papa Wojtyla: «Non volevo farlo, quel film. Non potevo giudicare la sua opera. E allora né uscito un film illustrativo, didascalico. Ma se non l'avrei fatto io, l'avrebbe fatto un professionista americano, alla maniera di Hollywood, in maniera indifferente» e così alla fine sono stato definito «il regista del papa e per molti è inaccettabile».
In quanto al crollo del comunismo, Geninazzi gli ha chiesto se si fosse aspettato la vittoria della democrazia. «Domanda attuale ancora oggi - la replica - perché oggi l'Europa non sembra avere più fiducia in se stessa».

E naturalmente si è parlato anche della guerra in corso: «E' già una guerra mondiale e mi sembra che succeda come a Sarajevo quando non ci si accorse che la prima guerra mondiale era già scoppiata». Quella in Ucraina «è una guerra tragica, perché porta al disastro la Russia: non sarà più indipendente, sarà dominata dalla Cina e per noi europei invece sarebbe stato meglio una Russia non subordinata alla Cina». La soluzione? «Solo un intervento divino».
Iniziato parlando della pandemia di covid («Non so come ne uscità la nostra società. Si è avvicinata la morte di cui solitamente non si vuol parlare»), l'incontro si è concluso con un accenno all'ultimo film con un messaggio contro il consumismo («Meglio avere meno, consumiamo troppo e ciò non rende nessuno felice») e alla situazione politica in Polonia («Sei mesi fa ero critico con i miei connazionali che hanno eletto un governo che non condivido, ma quando ha visto cosa si è fatto per ospitare i profughi ucraini, mi è tornata la speranza»).

(ph. Stefano Micozzi)

Il pomeriggio era cominciato con l'incontro sulla cultura come "luce per il territorio" al quale hanno partecipato il presidente regionale Attilio Fontana, il direttore della Biblioteca degli alberi di Milano Francesco Colombo, il presidente di Lariofiere Fabio Dadti, la vicesindaco lecchese Simona Piazza e la segretaria dell'associazione "Archivivitali" Sara Vitali.

La seconda giornata del Lecco Film Fest è poi proseguita con l'intervista della giornalista Tiziana Ferrario alla ministra alle pari opportunità Elena Bonetti, già ospite lo scorso anno della manifestazione. Si è parlato della clamorosa sentenza di assoluzione per uno stupro a Torino, il noto caso della "porta socchiusa", «ma occorre essere chiari: non c'è porta socchiusa che tenga» ha detto la ministra. Ma si è parlato anche di family-act, di parità di genere, di occupazione femminile, della trasmissione del cognome materno, della conciliazione tra famiglia e lavoro e degli interventi del governo su questo fronte: asili nido, tempo pieno nelle scuole, stimoli e obblighi per le imprese.

Per tutte le informazioni sul prosieguo della Festival: https://www.leccofilmfest.it
D.C.
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