Garlate, crac Fratelli Greppi: amministratrice assolta, tre anni invece ad un funzionario di banca

La sede di Garlate della Fratelli Greppi in una foto scattata prima del fallimento
Per il PM la vicenda poteva considerarsi chiusa riqualificando il reato in contestazione da bancarotta fraudolenta a bancarotta preferenziale e prendendo così atto dell'intervenuta prescrizione. Non dello stesso avviso il collegio giudicante del Tribunale di Lecco che, optando per non ritoccare l'imputazione, si è espresso nel merito distinguendo le posizioni dei due imputati per arrivare ad assolvere lei e a condannare lui. E' finito così, dunque, questa mattina in Tribunale a Lecco, il procedimento penale ingenerato dal crac della Fratelli Greppi srl, storica realtà con sede a Garlate, attiva nel settore della commercializzazione di motocicli, dichiarata fallita nel giugno del 2014. A giudizio non solo la signora F.G. classe 1963, quale membro del consiglio d'amministrazione dell'impresa ma anche un funzionario di banca, il dr. G.B.B., trascinato nella vicenda giudiziaria da un'operazione di iscrizione volontaria.
Come ricostruito nel corso dell'istruttoria dall'operante della Guardia di Finanza chiamato a sintetizzare le indagini, necessitando di liquidità, nell'aprile 2012, con decisione presa dal cda, costatata l'imputazione per bancarotta distrattiva a F.G. (assistita dall'avvocato Roberto Zingari, sostituito nel corso dell'istruttoria dalla collega Giada Ammirati), la Fratelli Greppi aveva avviato una pratica per chiedere l'apertura di credito per 750.000 euro. Di questi 235.000 euro sarebbero stati poi “riscossi” attraverso il meccanismo del finanziamento soci dal Presidente (nel frattempo deceduto) che effettivamente vantava un credito, per ripianare un debito bancario di altra società, la Greppi Auto costituita per dare vita a una nuova concessionaria - mai aperta - che avrebbe dovuto insediarsi in un grande capannone, acquistato, accendendo un mutuo. Il tutto attraverso una ipoteca proprio su tale immobile. Da qui la “chiamata in causa” del dr. G.B.B. che, stando all'impianto accusatorio, tramite quella iscrizione volontaria ad acque già agitate, avrebbe posto la Banca in una condizione di vantaggio rispetto agli altri creditori.
Una verità quest'ultima "cristallizzata" dalla sentenza di primo grado. Il collegio giudicante ha ritenuto infatti colpevole il funzionario ed escludendo la contestata recidiva ha condannato lo stesso a 3 anni. Assolta invece la signora F.G., semplice membro del cda della fallita, "per non aver commesso il fatto".

A.M.
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