Lecco: confronto sui cinque referendum sulla giustizia, le ragioni del 'sì' e le perplessità 'tecniche'

Confronto quasi accademico, toni pacati senza eccessi elettorali, all’incontro svoltosi ieri sera a palazzo Falck per discutere dei cinque referendum sulla giustizia per i quali i cittadini sono chiamati alle urne domenica. Al netto della propaganda, comunque contenuta nell’intervento di saluto della presidente della Provincia Alessandra Hofmann e del senatore leghista Paolo Arrigoni.

Alessandra Hofmann e Stefano Simonetti

E del resto la serata era organizzata dal Comitato per il “Sì”, con un tavolo dei relatori decisamente sbilanciato dalla parte degli avvocati i quali, pur non nascondendo anche qualche perplessità sui quesiti, hanno dimostrato di condividere i contenuti della campagna referendaria promossa da Partito Radicale e Lega.

A discuterne, moderati dal legale e consigliere provinciale leghista Stefano Simonetti, c’erano il presidente dell’Ordine degli avvocati lecchesi Elia Campanielli, il presidente e il vicepresidente della Camera penale di Como e Lecco, rispettivamente  gli avvocati Edoardo Pacia e Stefano Pelizzari, il senatore Arrigoni e il magistrato del Tribunale di Lecco Dario Colasanti il quale ha precisato di intervenire semplicemente in qualità di tecnico e non per esprimere giudizi politici, per quanto gli argomenti tecnici non siano necessariamente neutri. Il dibattito è stato preceduto da un’introduzione del difensore civico provinciale Paola Sgarbi sulla storia dell’istituto referendario nel nostro Paese.

Paola Sgarbi e Elia Campanielli

I referendum, come si saprà, riguardano le regole per le elezioni del Consiglio superiore della magistratura, la possibilità che negli organi di valutazione dei magistrati facciano parte anche docenti universitari e avvocati, la separazione delle funzioni tra giudici e pubblici ministeri, i limiti alla custodia cautelare vale a dire la possibilità di arresti prima del processo, l’abolizione della cosiddetta legge Severino che tra le altre cose prevede la decadenza automatica di un amministratore pubblico comunale o regionale già dopo la condanna di primo grado.

Dario Colasanti

Sul Consiglio superiore della magistratura, se Campanielli ha parlato di «segnale da lanciare» e della necessità di combattere le correnti all’interno della magistratura, Colasanti ha rilevato come le correnti in sé non siano negative, rappresentando un dibattito interno alla categoria sulla funzione del magistrato ed è pertanto un fatto positivo. Il problema è la degenerazione delle correnti che magari genera clientelismo, spesso in complicità con il mondo politico.
A proposito di docenti e avvocati coinvolti, seppure in parte minoritaria, nella valutazione dei giudici, Colasanti ha parlato di possibili disagi che avrebbero gli stessi avvocati se ci fosse anche un giudice a valutare il loro operato nei consigli di disciplina della categoria, ma soprattutto si arriverebbe a una situazione in cui l’avvocato sarebbe nel contempo guardialinee, arbitro e giocatore. E del resto – ha aggiunto – il magistrato è già sottoposto ogni quattro anni a valutazione professionale, non finalizzata alla carriera bensì a evitare il licenziamento perché con due valutazioni negative scatterebbe la giusta causa per l’interruzione del rapporto di lavoro. Tra l’altro, gli avvocati possono segnalare i casi problematici e non lo fanno. Da parte sua, Pacia ha replicato che la valutazione non sarebbe certo affidata al primo avvocato che passa per strada bensì a una figura espressa dall’Ordine. Mentre Stefano Pelizzari non avrebbe problemi se a giudicare gli avvocati ci fosse anche un giudice.

Edoardo Pacia e Stefano Pelizzari

Sulla separazione delle funzioni, è stato Pacia a sottolineare come il referendum non è che un “pannicello” essendo necessaria una vera e propria separazione delle carriere. La differenza sta che, separando semplicemente le funzioni, un giudice farà sempre il giudice così come un pubblico ministero sarà sempre sul banco dell’Accusa, pur facendo parte entrambi della stessa categoria. La separazione delle carriere prevede invece che giudici e pm avrebbero anche percorsi professionali del tutto indipendenti, con formazione e concorsi differenti. Riforma più che necessaria anche per Pelizzari perché un pubblico ministero di lungo corso finisce con l’assumere una forma mentis che tale rimarrà anche quando si troverà a fare il giudice.

Paolo Arrigoni e Mauro Piazza

Lo stesso senatore Arrigoni ha chiesto di finirla con le «porte girevoli». Colasanti ha messo in guardia, sostenendo come la separazione delle carriere possa ottenere un risultato generandone però altri imprevisti e spiacevoli: conta la cultura della giurisdizione che consiste nella ricerca della verità, nel rispetto dei diritti e nell’applicazione della legge e ciò vale per il giudice e anche per il pm e l’avvocato è la sentinella di questa giustizia, avvocato il cui compito non è mirare all’accertamento della verità che è compito invece del pm. Argomento che ha fatto sbottare il consigliere regionale Mauro Piazza, seduto in sala e decisamente contrariato: «C’è un limite a quello che dobbiamo ascoltare».

A proposito di custodia cautelare, è stato Pelizzari a dire come l’ingiusta detenzione può anche far parte della fisiologia del sistema giudiziario, ma a volte se ne abusa e ciò altera lo stesso andamento del processo perché magari costringe un imputato a confessare solo per ritrovare la libertà. Ma il codice non prevede la confessione che deve essere una scelta. Si è comunque detto perplesso perché i limiti alla custodia cautelare previsti dal referendum, pur esclusi per una serie di reati gravi, si ripercuoterebbero anche su una serie di reati come lo stalking o i furti in abitazione che provocano un particolare allarme sociale. Ciò peraltro è stato anche sottolineato dalla giudice Nora Lisa Passoni, intervenuta in fase di discussione ricordando proprio come nelle ultime settimana abbia preso una serie di provvedimenti restrittivi per reati di stalking, furti in casa e rapine sui treni che con i limiti imposti dal referendum non sarebbe stato possibile prendere. «Resta però fermo – ha concluso Pelizzari – il problema dell’abuso della carcerazione preventiva perché a volte si agisce con troppa precipitazione».
Infine, la legge Severino: «Occorre abolire l’automatismo della sospensione dagli incarichi al primo grado di giudizio, lasciando al giudice la facoltà di decidere». La stessa Hoffman ha ricordato come sempre meno persone si impegnano in politica non per disinteresse ma per il timore di rischiare conseguenze giudiziarie. Anche perché – è stato anche detto – la sospensione al primo grado di giudizio confligge con la presunzione d’innocenza e quindi con le garanzie costituzionali che prevedono l’esecutività della sentenza solo al terzo grado di giudizio.

Il discorso si è poi allargato, andando oltre la portata dei cinque referendum. Da parte sua, Arrigoni ha riportato una serie di dati a testimoniare il malfunzionamento della giustizia. E se Pacia ha rilevato come non possano essere imputati ai magistrati i mali della giustizia, Colasanti ha ricordato come ormai si parli, con una sorta di violenza linguistica, di smaltimento degli arretrati, «ma si smaltiscono i rifiuti e non le vicende umane», però oggi i più meritevoli sono i magistrati che “smaltiscono”. Ma, a proposito di giustizia inefficiente, ha ricordato come i rapporti internazionali dicano che i magistrati italiano siano tra i più produttivi, ma il fatto è che sono meno rispetto ad altri Paesi e hanno il doppio o il triplo delle pratiche: occorrerebbe colmare l’organico. Sono mille i posti vacanti.
E al senatore Arrigoni che poneva il problema dei tempi lunghi dei processi civili, Colasanti ha ricordato come i referendum riguardino il penale e chiedendosi se, in caso di vittoria dei “sì”, i processi saranno più veloci o consentiranno di abbattere l’arretrato.

Infine, è stata l’avvocata Marilena Guglielmana a chiamare sul banco degli accusati il sistema politico: «La responsabilità è di chi fa le leggi. Sono 42 anni che sento dire che la giustizia non funziona. Le ho viste tutte le riforme. Ogni volta è stato peggiorato qualcosa….».
A Guglielmana, ha risposto Arrigoni, ricordando come in Parlamento a occuparsi delle riforme della giustizia siano i tecnici di professione, vale a dire avvocati e magistrati. E si dovrà intervenire – secondo il senatore –perché un magistrato che per qualche anno ha fatto politica poi non possa tornare a fare il magistrato. «Ma questo è un altro discorso».
Dario Cercek
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