Referendum sulla giustizia: informarsi è il minimo

Leggo sui media locali pareri discordanti sulle difficoltà a comprendere i contenuti dei referendum su cui saremo chiamati ad esprimerci a brevissima.
In effetti la materia specifica non appare di facile fruizione, specie per coloro che non hanno mai saputo o voluto dedicare tempo e attenzione ad un tema assai delicato per la nostra Convivenza Civile come quello dell'amministrazione della Giustizia.
Certo, nella babele delle questioni che ci si parano giornalmente davanti in questa Società, sempre più frammentata, confusa e in molti casi contraddittoria, non è insolito il rischio d'abbandonarsi alla rassegnazione e ad una perlomeno apparente impotenza. Ma, visto che i sistema referendario non è certo uno strumento di democrazia diretta da sprecare, ritengo che occorra fare come cittadini responsabili perlomeno uno sforzo d'approfondimento.
Come concretizzarlo è esattamente una delle questioni centrali per chi voglia essere il più possibile consapevole delle proprie scelte, col presupposto che a molti degli "attori della scena politica" fa comodo che i Cittadini ragionino e votino con "la pancia", come si suol dire.
Purtroppo i grandi media, anche in questo caso, corrono il rischio di veicolare più o meno volontariamente una visione "propagandistica" delle parti in gioco pur assicurando, in questo specifico caso in modo assai ridotto (certi temi non garantiscono gli "ascolti"), un confronto d'idee.
Ed allora sul come "muoversi" ognuno utilizza i propri accorgimenti e pur non rinunciando ad ascoltare pareri vari si finisce con l'approfondire soprattutto valutazioni di persone di cui si ha stima.
Non è un caso quindi che io abbia tratto spunto da un capitolo di un recente libro intervista del giornalista Saverio Lodato (novembre 2021) al magistrato Nino Di Matteo dall'eloquente titolo "I NEMICI DELLA GIUSTIZIA" e dall'altrettanto illuminante sottotitolo "Magistratura, Politica, Economia : Chi non vuole una giustizia uguale per tutti".
Invitando ad una lettura diretta e senza presunzione alcuna, metto a disposizione, pur in forma ovviamente sintetica, alcuni illuminanti considerazioni di uno dei magistrati più esposti sul fronte antimafia e per nulla tenero nei confronti di certa magistratura più legata al Potere.
L'attenzione di Di Matteo, ma anche di altri magistrati "esposti" come lui, pur non sottraendosi a connotare in senso negativo anche gli altri quesiti (e comprendendo alcune valutazioni assai critiche sulla "parallela" cosiddetta Riforma Cartabia) si catalizza soprattutto su tre "qualificanti" quesiti referendari in termini di "valori in gioco" ( definiti letteralmente dal magistrato come "d'importanza fondamentale") : La separazione delle carriere tra Pubblici Ministeri e Giudici; la responsabilità civile "diretta" dei magistrati e l'abrogazione della Legge Severino sull'incandidabilità alle cariche pubbliche dei condannati in giudizio.
Alcuni significativi stralci ( pur in un quadro di molti altri aspetti documentati elencati nel libro) :

Sul primo, alla domanda del perché "da oltre quarant'anni la separazione delle carriere sia diventato il cavallo di battaglia di certa politica", Di Matteo risponde : "Perché con la separazione delle carriere si verrebbe a creare un corpo di magistrati, i pubblici ministeri, che fatalmente tenderebbe a perdere la cultura della giurisdizione e della terzietà. Ovvero la consapevolezza di dover cercare di utilizzare, per le sue iniziative e valutazioni, anche le prove potenzialmente favorevoli agli indagati.
Si creerebbe un corpo di magistrati connotato a tutti i costi in senso accusatorio, si trasformerebbe il pm in una sorte di avvocato a longa manus giudiziaria della polizia, e questo andrebbe a detrimento delle garanzie di ogni cittadino. Si vorrebbe un pm a vita, un superpoliziotto che anziché dirigere e coordinare la polizia giudiziaria, ne costituirebbe una sorta di avamposto nel processo.
Tra i magistrati si individuerebbe una categoria di potentissimi funzionari, quella dei pubblici ministeri, che, poiché sganciata dalla giurisdizione e dalla categoria dei giudici, di fatto, ancor prima di un eventuale intervento del legislatore, verrebbe attratta nell'orbita del potere esecutivo dal quale già dipendono le forze di polizia ...".
E ancor prima nel libro, oltre a delineare l'estrema esiguità percentuale dei reali passaggi dall'una all'altra funzione ( 1,7% da pm a giudice e 0,2% nella direzione contraria) nel triennio dal 30 giugno 2016 al 30 giugno 2019, si legge riguardo il ricoprire, nel corso della carriera, entrambe le funzioni : " E' un arricchimento della professionalità del magistrato e quindi un apporto significativo al miglioramento della qualità complessiva della giurisdizione. Un pm che ha fatto il giudice sarà, inevitabilmente, più attento a quella cultura della prova che lo orienterà fin dalle prime scelte investigative nella direzione della raccolta e della corretta valutazione di ogni elemento indiziante. Inoltre sarà agevolato nel valutare correttamente la sostenibilità di una sua tesi accusatoria davanti al giudice del dibattimento.
Dal canto suo, un giudice che ha fatto il pubblico ministero, e che ha sperimentato sulla sua pelle la complessità, la difficoltà, le insidie che contraddistinguono il lavoro del pm, soprattutto nella prima fase delle indagini, saprà valutare con maggiore oculatezza dei suoi colleghi la genuinità e la rilevanza del materiale probatorio che gli viene sottoposto. Ma anche la bontà dei metodi utilizzati dagli inquirenti nella fase delle indagini, presupposto indispensabile di ogni successiva corretta decisione...".
Sul secondo quesito (ricordando che con la normativa attuale già ora " chi si ritiene danneggiato da un provvedimento del giudice può rivalersi nei confronti dello Stato che a sua volta si può rivalere sul giudice") alla domanda se con il sì referendario e la conseguente responsabilità civile "diretta"si potrebbe alterare la serenità di giudizio, risponde: " Sarebbe inevitabile. Continuamente chiamato in causa, tenderà a non esporsi, soprattutto rispetto alla parte politicamente ed economicamente più forte. In pratica quella che, facendogli causa, gli può arrecare un maggior danno. Se in un processo civile le parti sono una grande multinazionale e un operaio di uno stabilimento periferico, vittima di un incidente sul lavoro o che, più semplicemente, reclama l'illegittimità del suo licenziamento, è umano pensare che il magistrato, per difendersi dalla spada di Damocle dell'azione civile, tenderà a dare ragione alla parte economicamente più forte. Così come il magistrato penale, anche inconsapevolmente, sarà timoroso nel condannare un imputato potente, che un giorno, ottenuta la riforma della condanna in appello, potrebbe scagliarsi contro il giudice....".
Sul terzo quesito relativo alla "legge Severino" basterebbe questa citazione di Di Matteo :
"Quella legge, proprio per ottemperare in concreto al principio dell'art. 54 della Costituzione, che a tutti coloro che ricoprono cariche pubbliche impone di adempiere con disciplina e onore al loro compito, aveva previsto situazioni di incandidabilità e decadenza a seguito dell'accertamento definitivo di responsabilità penali. Ma anche la sospensione dell'incarico politico pubblico nel caso di accertamento con sentenza di primo grado".

Mi fermo qui sperando d'aver contribuito nel mio piccolo a dare qualche ragguaglio conoscitivo ulteriore. Evidenzio anche questo link di una recentissima trasmissione televisiva che, a mio parere, ha brillato per massima concisione ed efficacia comunicativa :

https://www.rai.it/dl/tg3/rubriche/PublishingBlock-307dcfe8-5184-467e-928a-98ae4bbf2d1f.html#

(FuoriTg 08/06/2022)

Germano Bosisio
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.