In viaggio a tempo indeterminato/231: mediterraneità

Sta succedendo una cosa molto particolare qui in Turchia.
Riusciamo a capire le persone molto più del solito.
No, non è grazie alla nostra padronanza del turco.
È vero che abbiamo imparato qualche parola extra rispetto alle classiche "ciao-grazie-quanto costa?".
Sappiamo i numeri fino a 20 e molti più termini culinari di quanti ce ne servano davvero.
Ma la differenza sta nella gestualità e nel suono della lingua, così simili alle nostre.
Me ne sono accorta l'altro giorno quando siamo entrati in un negozietto di alimentari per chiedere se facessero la ricarica del cellulare.
Il signore dietro il bancone parlava solo turco ma ci ha intrattenuto con una lunga conversazione. All'inizio eravamo persi in tutte quelle parole piene di "u".
A poco a poco, però, tra gesti delle mani e mimica facciale il discorso aveva un senso.
Quel gentile signore dal sorriso sincero ci stava dando indicazioni su dove fare la ricarica ma ci stava anche chiedendo da dove venissimo, se la Turchia ci stesse piacendo e ci esprimeva tutta la sua ammirazione per le bellezze italiane "ah Venezia, Firenze, Roma...".
Poi il discorso si è fatto più complesso arrivando a toccare temi caldi come l'inflazione della lira turca che rende impossibile viaggiare all'estero.
E tutto questo è avvenuto in una lingua di cui noi conosciamo solo pochissime parole.
Ad aiutarci a tenere il filo del discorso è stata la familiarità nei gesti.
Come se, una volta messe da parte le parole,  il discorso avesse comunque un suo senso.
Non ci è capitata quasi in nessuna parte del mondo una cosa simile.

In Messico eravamo avvantaggiati dallo spagnolo e dal poter capire quasi ogni parola della conversazione. È una delle parti più belle del viaggiare in America Latina.
Capire la lingua delle persone che abitano in quel determinato Paese permette di andare oltre e riuscire ad approfondire.
Rompe una barriera e riduce le distanze che si creano inevitabilmente quando si vivono vite completamente diverse.
È indubbiamente l'aspetto che ho preferito del viaggiare in Paesi di lingua spagnola.
In Asia era sempre tutto molto più complicato e le occasioni di fare discorsi più approfonditi con le persone del posto si limitavano ai rari casi in cui si incontrava qualcuno che  parlasse inglese.
In Turchia il rischio è esattamente lo stesso, un po' come era in Grecia o in Bosnia.
Il turco è una lingua completamente diversa. Impossibile ricondurre le parole a suoni che conosciamo.
È un ceppo completamente diverso da quello latino ma il vantaggio, per noi, è che utilizzano lo stesso alfabeto.
In realtà questa è una novità piuttosto recente, dato che fino a pochi anni fa si usava una variante dell'alfabeto arabo per scrivere.
Grazie ad Ataturk, il padre della Turchia moderna, dal 1928 la lingua turca si scrive con una versione modificata dell'alfabeto latino.
Ma la facilità nel comprendersi non sta certo in questo.
A spiegarcelo è stato un altro signore seduto al tavolo accanto noi in un barettino.

Mentre sorseggiavamo tutti del çay, ha esclamato "Italia, Turkey mediterranean!".
Quelle sue parole sottintendevano un legame, una somiglianza.
E a pensarci bene la "mediterraneità" è davvero un filo conduttore.
Non mi riferisco alla passione che ci accomuna per il pomodoro, le olive, le melanzane e il pane in ogni sua forma... anche se già questi mi sembrano dei buonissimi punti di partenza.
La mediterraneità, intesa come stile di vita, la si riscontra nella maggior parte dei Paesi che condividono un pezzetto di questo mare.

VIDEO:


È difficile da descrivere perché è una sfumatura, una nota di colore che non riesci a riconoscere perché ne sei sempre stato immerso.
La mediterraneità che mi è tanto familiare la rivedo in piccoli gesti anche qui in Turchia.
Il fermarsi a osservare il mondo davanti a un tè nero o a un caffè.
Le signore anziane sedute fuori casa a chiacchierare.
La curiosità e la voglia di parlare con degli sconosciuti.
La passione per il buon cibo.
L'importanza della famiglia e dello stare insieme.
La musica.
La cultura.
L'estroversione e capacità di arrangiarsi che nel nord del mondo forse invidiano.

Qui in Turchia rivedo quel bel caos colorato e vivo che mi ricorda l'Italia di quando ero bambina, quando ci si conosceva tutti e nessuno rimaneva escluso.
Questa "mediterraneità" sembra andare oltre le evidenti differenze, creando un legame così profondo che ci porta a capire un intero discorso in turco pur non conoscendo una parola.
Non sto dicendo che siamo tutti uguali solo perché ci affacciamo sullo stesso mare, anzi.
Sarebbe sbagliato dire che in Turchia si vive come in Italia o come in Spagna o Grecia.
Ogni Paese ha le sue peculiarità, la sua identità, la sua storia, la sua religione, i suoi punti deboli.
Ma è proprio qui che sta il bello ed è proprio per questo che viaggiare ha un senso.
Siamo tutti più vicini di quello che pensiamo ma anche più unici di quello che potremmo immaginare.
Angela (e Paolo)
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