Lecco: qual è la logica di aprire la Casa di Comunità in strutture scolastiche con tanti edifici vuoti?

Enrico Magni
Spesso e volentieri si propongono delle trasformazioni linguistiche per designare professioni, azioni, funzioni sociali con lo scopo di rinverdire qualcosa che c’è stato o c’è per connotarlo con un significato apparentemente nuovo o innovativo.
Da qualche tempo, con la triste vicenda dall’epidemia Covid-19, che sta causando milioni di morti nel mondo e circa duecentomila nel Bel Paese dell’abate Antonio Stoppani, si è costatato che il sistema sanitario regionale e nazionale è completamente sguarnito di strutture sanitarie di base, di prossimità.
La riforma sanitaria n. 883 del 1978, che ha subito mutilazioni, alterazioni, scomposizioni dalle singole Regioni, ha assunto ordinamenti e indirizzi diversi in relazione  alle maggioranze politiche: infatti, esistono 20 sistemi sanitari. Con il lockdown i cittadini hanno assistito in diretta l’inefficienza e l’incompetenza nel gestire il dramma epidemico.
L’epidemia ha mostrato la precarietà della sanità di base nei singoli territori. Però va ricordato che prima c’erano servizi sanitari di base.  Ad esempio, nel meratese c’erano dei distretti sanitari che svolgevano funzione di prevenzione e cura con ambulatori specialisti: Robbiate, Merate, Osnago, Olgiate Molgora, oltre all’ospedale San Leopoldo Mandic; nel lecchese c’erano distretti e ospedali come quello di Oggiono, Bosisio Parini; la Valsassina e il lago avevano l’ospedale di Bellano, un distretto a Ballabio, Introbio. C’era un reticolo interconnesso di strutture sanitarie dinamiche.
Adesso, con il grande piano di “riqualificazione rigenerante” del Pnrr, ogni regione sta decidendo cosa fare con le Case di Comunità: attenzione, non case del benessere o della salute. Nel lemma c’è un significato iterativo/rafforzativo che evidenzia, con il sostantivo casa, il significante identità, appartenenza, famiglia; invece con comunità rimarca il significante comunione, condivisione, partecipazione. E’ un costrutto che nulla c’entra con l’oggetto salute. E’ una locuzione retorica carica di paternalismo/maternalismo ideologico ottocentesco.
L’incipit della Regione Lombardia recita: “Le Case di Comunità sono le nuove strutture socio-sanitarie che entreranno a fare parte del Servizio Sanitario Regionale, previste dalla nuova legge di potenziamento dei servizi sanitari e sociosanitari distribuite in modo capillare sul territorio lombardo e costituiscono un punto di riferimento continuativo per i cittadini che possono accedere gratuitamente alle prestazioni sanitarie erogate.
Le strutture garantiscono assistenza sanitaria primaria e attività di prevenzione. Inoltre, sono presenti equipe di medici di medicina generale, pediatri, medici specialistici, infermieri e altri professionisti della salute (tra cui tecnici di laboratorio, ostetriche, psicologi, ecc.) che operano in raccordo anche con la rete delle farmacie territoriali.”.
Primo dato: il servizio non è gratuito, è pagato con le tasse del singolo cittadino. Secondo: nei Distretti delle ex USSl c’erano già tutti questi servizi. Nell’arco di vent’anni sono stati volutamente smantellati.
La problematica è molto più complessa. Non basta andare a benedire in pompa magna la prima Casa di comunità a Olgiate Molgora con toni trionfalistici e innovativi per parlare di nuova sanità.
A Lecco si intende aprire la prima Casa di Comunità nell’attuale polo scolastico di via Antonio Ghislanzoni. In questo momento c’è la media Tommaso Grossi, la materna Damiano Chiesa e a settembre rientrerà il Liceo Classico e a pochi passi c’è il Politecnico.
Domanda retorica: ma che logica è quella di mischiare sanità di base con la scuola, restringendo gli ambiti o trasferendo una scuola, quando in centro Lecco ci sono strutture pubbliche vuote?
dr. Enrico Magni
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