Garlate, fallimento Fratelli Greppi: per il PM fu bancarotta preferenziale. 'Chiesta' la prescrizione

La sede di Garlate della Fratelli Greppi in una foto scattata prima del fallimento
I difensori hanno comunque insistito per un'assoluzione piena, entrando nel merito della vicenda per allontanare ogni alone sui loro assistiti. La Procura, invece, nella persona del sostituto Chiara Di Francesco - erede di un fascicolo imbastito dal collega Paolo Del Grosso prima del trasferimento a Torino - pur ritenuta verificata l'operazione descritta nel capo d'imputazione e provato il convolgimento nella stessa di entrambi gli imputati, ha concluso proponendo una riqualificazione del reato contestato agli stessi con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione quale conseguenza. Ultime battute del processo per bancarotta fraudolenta ingenerato dal crac della Fratelli Greppi srl, storica realtà con sede a Garlate, attiva nel settore della commercializzazione di motocicli, dichiarata fallita nel giugno del 2014. A giudizio non solo la signora F.G. classe 1963, quale membro del consiglio d'amministrazione dell'impresa ma anche un funzionario di banca, il dr. G.B.B., trascinato nella vicenda giudiziaria da un'operazione di iscrizione volontaria.
Come ricostruito nel corso dell'istruttoria dall'operante della Guardia di Finanza chiamato a sintetizzare le indagini, necessitando di liquidità, nell'aprile 2012, con decisione presa dal cda, costatata l'imputazione per bancarotta distrattiva a F.G. (assistita dall'avvocato Roberto Zingari, ieri sostituito dalla collega Giada Ammirati), la Fratelli Greppi aveva avviato una pratica per chiedere l'apertura di credito per 750.000 euro. Di questi 235.000 euro sarebbero stati poi “riscossi” attraverso il meccanismo del finanziamento soci dal Presidente (nel frattempo deceduto) che effettivamente vantava un credito, per ripianare un debito bancario di altra società, la Greppi Auto costituita per dare vita a una nuova concessionaria - mai aperta - che avrebbe dovuto insediarsi in un grande capannone, acquistato, accendendo un mutuo. Il tutto attraverso una ipoteca proprio su tale immobile. Da qui la “chiamata in causa” del dr. G.B.B. che, stando al quadro accusatorio, tramite quella iscrizione volontaria ad acque già agitate, avrebbe posto la Banca in una condizione di vantaggio rispetto agli altri creditori.
"A mio avviso non si è trattato di una bancarotta fraudolenta patrimoniale per dissipazione" ha sostenuto ieri il PM dinnanzi al collegio giudicante. "Il risultato dell'operazione è stato differente: non eludere il patrimonio ma sostituire un creditore chirografario con un privilegiato". Insomma, a suo giudizio, si sarebbe trattato di un atto con rilevanza sulla par condicio creditorum, ipotesi tipica della bancarotta preferenziale. Da qui la riqualificazione del reato e - trattandosi di un fallimento del 2014 - il riconoscimento dell'intervenuta prescrizione. Smontata, invece, come accennato, dai legali dei due imputati, l'operazione stessa così come il presunto danno arrecato ad altri creditori. Il prossimo 30 giugno alle 9.30 la sentenza.
A.M.
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