Lecco: il nuovo garante dei detenuti si presenta, le motivazioni e gli 'obiettivi' di Lucio Farina

Lucio Farina
Il nuovo garante dei detenuti si è presentato alla commissione consiliare. Si tratta di Lucio Farina, formatosi come sociologo nel ramo della pianificazione sociale e in possesso di un master in social planning per il terzo settore, da vent’anni impegnato professionalmente nel settore sociale. Tutt'oggi è direttore del Centro di servizio per il volontariato di Monza-Lecco-Sondrio che si dedica a sostenere, supportare e promuovere il volontariato del nostro territorio, sia in forma individuale che collettiva. Farina raccoglie l’eredità di Marco Bellotto rimasto in carica per un triennio fino al marzo di quest’anno.
Farina era l’unico candidato a ricoprire l’incarico, del tutto volontario e gratuito, rispondendo al bando pubblicato dal Comune.
«La scelta di candidarmi – ha spiegato in commissione - rientra in un percorso naturale della mia biografia di vita sia professionale che di impegno civico. Ho iniziato con la grave disabilità e il sostegno alle loro famiglie; la mia attenzione si è poi spostata sulle dipendenze, passando per il supporto alle associazioni di famigliari di persone con disturbi di salute mentale. Oggi mi impegno a supporto del volontariato locale, attivando, in particolare, progetti di giustizia restorativa e coinvolgendo volontari e associazioni di volontariato nelle pratiche restorative di incontro tra vittime, rei e società civile. Questo lavoro di ricostruzione dei legami di una comunità passa dalla capacità di incontrarsi e ascoltarsi: il volontariato, proprio in questo senso, è un bene prezioso per la comunità».
Al neogarante sono giunti i ringraziamenti del sindaco Mauro Gattinoni perché sarà così possibile «continuare a garantire i diritti di tutti i cittadini, anche quelli privati della libertà, e proseguire nella costruzione di una forte collaborazione con la nostra casa circondariale. Questa nomina dimostra la nostra attenzione verso il mondo del carcere e di tutte le persone coinvolte: reclusi, lavoratori, volontari e direzione. Grazie anche al dottor Marco Bellotto, garante uscente, per aver esercitato il suo ruolo con grande umanità e competenza in un triennio peraltro segnato dall'emergenza pandemica».
A quello del primo cittadino si è aggiunto il commento dell’assessore al Welfare Emanuele Manzoni: «Chi vive in condizioni di libertà limitata è parte integrante della nostra comunità . Non possono esistere alibi per comprimere ulteriormente i diritti di persone che devono essere messe nella condizione di poter compiere un pieno percorso di reinserimento sociale. La nostra costituzione fa riferimento al valore rieducativo della pena e questo passa attraverso un mantenimento costante dei legami con il contesto di provenienza, sia esso l'intorno famigliare, professionale o amicale. La figura del Garante è anche per questo estremamente importante, oltre alla tutela di diritti fondamentali come, per esempio, quello alla formazione, al lavoro e alla salute».
Nella sua riunione, tra l’altro, la commissione consiliare, presieduta da Stefania Valsecchi, si è occupata congiuntamente del lavoro del garante ma anche del tavolo per la cosiddetta giustizia riparativa, l’iniziativa volta a far avvicinare autori e vittime dei reati in una nuova concezione di quella che comunemente va sotto il nome di “riparazione del danno” ma che in realtà è un più complesso lavoro di ricucitura dei rapporti sociali. Come ha spiegato ai consiglieri la psicologa Bruna Dighera, intervenuta alla riunione. «Il termine “riparativa” sarebbe sbagliato. Meglio sarebbe “restorativa”. Perché ci sono danni e sofferenze irreparabili, ma ci possono essere iniziativa per andare oltre il dolore, la rabbia e il rancore. Una giustizia delle relazioni che non è alternativa alla giustizia tradizionale, ma serve per ricostruire una dimensione collettiva partendo da un’idea “impossibile”, quella che la vittima di un reato possa incontrarne l’autore, oltre a cercare di risolvere conflitti con l’aiuto di una terza persona. Che è un modo per aiutare una comunità a essere più coesa e inclusiva.  Ne abbiamo avuto un esempio recente con l’emergenza covid quando, dopo il primo lockdown, abbiamo tenuto una decina di incontri coinvolgendo un centinaio di persone tra medici, infermieri, malati e famigliari di malati. Vorremmo che Lecco diventasse una città “restorativa” nella rete delle città europee».
Già, lo scorso anno, si era tenuta la “Piazza dell’Innominato”, una tre giorni di sensibilizzazione all’area della Piccola, iniziativa che dovrebbe essere ripetuta anche quest’anno.
Non è stato un caso che di garante per i detenuti e di tavolo per la giustizia si sia parlato nella stessa riunione, essendoci tra l’uno e l’altro «connessioni forti – come ha detto l’assessore Manzoni – segno di attenzione dell’amministrazione comunale nei confronti dei detenuti affinché siano parte integrante della società».
I consiglieri intervenuti (Paolo Galli, Filippo Boscagli, Stefano Parolari, Matteo Ripamonti, Chiara Fusi) hanno sottolineato la necessità di creare un legame tra la città e la casa circondariale spesso vissuta come un corpo estraneo e avvicinate magari solo in qualche occasione ufficiale, come la celebrazione della messa natalizia aperta alle autorità esterne.
Ed è proprio per la creazione di questo legame che vuole impegnarsi il garante «perché è un luogo della città ed è necessario costruire un dialogo anche per creare relazioni utili una volta che le persone detenute usciranno dal carcere e dovranno essere supportate. Potrebbe favorire o no l’inclusione? Evitare che tornino a ripetere reati? Vedremo. C’è poi anche l’aspetto delle reti familiari a cui si dovrà prestare attenzione, c’è già un’associazione che se ne occupa».
A proposito di associazioni, Farina intende inoltre continuare a collaborare con un gruppo creato proprio dal predecessore e composto da volontari e appunto rappresentanti di diverse associazioni e della Caritas.
Definito per brevità garante dei detenuti, in realtà, la dicitura corretta sarebbe quella di garante per le persone prive della libertà. Perché nella realtà non solo di detenuti si dovrebbe parlare, ma anche di persone con altre sofferenze, magari disabili gravi con in grado di far valere i propri diritti e che necessitano quindi di una figura che li tuteli in determinate occasioni.
«Nella nostra provincia – dice Farina – non vi sono casi eclatanti, a parte quello del professore di Airuno ricoverato all’”Airoldi Muzzi” e di cui si occupa direttamente il garante nazionale. Pertanto è naturale rivolgere l’attenzione alla casa circondariale che è comunque un luogo della città e come tale va vissuto. Va detto che al momento non ci sono grossi problemi di rapporti perché la direttrice Antonina D’Onofrio è una persona intelligente, ma indubbiamente ci sono rigidità burocratiche e procedurali».
Detto che il «garante locale non ha i poteri di quello nazionale», il lavoro è volto «alla costruzione di una cultura dei diritti, a intervenire anche solo per problemi comuni. Per esempio, so che il sindaco era intervenuto per una questione di rifiuti e che il mio predecessore era stato contatto dalla questura affinché verificasse che le celle per le detenzioni brevi fossero regolari. Poi, c’è appunto il lavoro per i detenuti anche se non è così semplice perché, essendo la nostra casa circondariale per le pene fino a cinque anni, il turn-over è molto alto.».
Tra gli obiettivi dello stesso Farina, inoltre, anche un dialogo con gli studenti, una sorta di attività preventiva ma anche perché i ragazzi prendano coscienza dei diritti di se stessi e di quelli degli altri.
D.C.
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