Lecco: mentre la guerra torna di attualità, esce 'La Mafalda vestiva di rosso' di Faccinetto

Angelo Faccinetto
Già autore di due saggi di storia locale, uno dedicato all’ospedale militare e l’altro ai cent’anni dell’ANMIG, il giornalista lecchese Angelo Faccinetto debutta ora nella narrativa con un romanzo – “La Mafalda vestiva di rosso” uscito in questi giorni per i tipi di Macchione Editore (230 pagine, 18 euro) – che ancora vede la guerra al centro dell’attenzione, la Grande guerra dopo Caporetto.
 E il caso ha voluto che tale riflessione arrivasse in libreria proprio mentre in Europa la guerra è tornata davvero e il romanzo è dunque occasione per ragionare sui suoi “disastri”.
Il racconto ha come protagonista Domenico, un uomo ormai già sulla cinquantina, originario della provincia di Belluno ma emigrato ormai da tutta una vita in Svizzera dove vive con la moglie Luison e le sei figlie e svizzeri possono essere considerati a tutti gli effetti. Lui, in verità, se non è proprio uno sfaccendato certamente si occupa di affari aleatori che sembrano essere più una scusa per poter viaggiare e quindi allontanarsi da casa. Dove, a mandare avanti davvero la baracca, c’è appunto la Luison che gestisce una bottega di calzoleria e si spacca la schiena in maniera non indifferente.
Nel 1917, quasi all’improvviso, anche se in realtà il rovello lavorava da non poco, Domenico decide di lasciare la Svizzera, entrare clandestinamente in Italia e arruolarsi volontario dell’esercito sabaudo, per ritagliarsi «il posto che gli compete nelle vicende del suo tempo».  Il viaggio lo porta in Canton Ticino, a scavalcare i monti, attraversare il lago di Como, raggiungere Colico e poi Milano e da lì in tradotta fino a Treviso e quindi al fronte italiano attestato sulla destra del Piave, appunto dopo la rotta di Caporetto che lasciato la sponda sinistra e Belluno agli austroungarici. Intanto, coltiva il desiderio di poter raggiungere la casa dove nacque per vedere quali ferite le abbia inferto la guerra. E sta, la casa, proprio in provincia di Belluno, pertanto in territorio nemico. Nel quale deciderà di avventurarsi una notte.
La copertina del libro
A inseguirlo in quella che un tenente definisce «una fuga da se stesso», ci sono due donne e una è appunto la Mafalda che vestiva di rosso: avrebbero dovuto incontrarsi di sfuggita Milano ma le circostanze non l’hanno consentito e lei decide di lasciare un marito mai amato per cercare di raggiungere Domenico del quale è stata sempre perdutamente innamorata. Raggiungendo, con mezzi di fortuna e tradotte, prima Vicenza e poi Treviso.
L’altra donna è invece la moglie Luison che in assenza del marito scopre di non potervi rinunciare nonostante tutti i difetti, tanto più ora che un altro figlio le sta per nascere, sperando che sia un maschio. Per andargli incontro, sceglie un’altra strada: dalla Svizzera entra in Austria e raggiunge il fronte fermandosi proprio a Belluno a confezionare scarponi per le truppe asburgiche.
Lasciamo al lettore di scoprire cosa il destino deciderà per la vita dei tre personaggi e volgiamo lo sguardo all’infuriare della guerra, alle trincee dove «non c’è niente di eroico. Solo tanta puzza di polvere da sparo, di sangue, di vomito, di merda, di ferite in cancrena» perché «i generali sono generosi col sangue dei loro soldati», agli approfittatori che ingrassano e alle popolazioni affamate. E’ il paesaggio della Grande guerra che Faccinetto dipinge con accuratezza e rigore storiografico. Con le paure che il pericolo possa venire anche dalla Svizzera dove si favoleggia che gli austroungarici stiano scavando un tunnel per sbucare all’improvviso in Val Chiavenna. Con la mattanza di renitenti e disertori: «L’esercito non ha tempo da perdere con i vigliacchi. I processi sono rapidi (è proibito dire sommari): la verità dei giudici militari non ha bisogno di troppe conferme, è già scritta nel momento in cui i malcapitati, acciuffati qua e là dopo mesi di trincea, di assalti e sbandamenti, vengono portati alla sbarra. Chissà se alla fine della guerra, come atto di pietà, i loro nomi figureranno nell’elenco dei caduti». Sappiamo che non è stato così, mentre proprio in questi ultimi anni si è fatta meno flebile la voce che ne invoca una riabilitazione ormai non più procrastinabile.
Lo spunto della narrazione, l’autore l’ha tra l’altro pescato nella storia famigliare, nelle vicende del nonno veneto emigrato da lungo tempo in Svizzera e che, a 42 anni, decise di tornare in Italia per arruolarsi volontario nell’Esercito italiano. Certo, lui non fu inseguito da una moglie e da un’amante e la trama del romanzo prende poi tutta un’altra direzione. Ma accanto a quella del nonno e di Domenico ci sono le «storie di decine di militari italiani – spiega Angelo Faccinetto – e la mia vicenda famigliare è stata uno spunto per raccontarle. Erano molti gli italiani emigrati da molto tempo che erano stati richiamati per la guerra, da molti Paesi europei, ma anche dall’Australia e dagli Stati Uniti. E magari, per chi magari era emigrato in Germania, al fronte si è trovato a sparare contro i propri compagni di lavoro. Si trattava di persone che ormai non avevano più alcun legame con la Patria eppure la Patria li aveva richiamati e per la Patria erano venuti a combattere».
E se parlare della guerra è necessario per «salvaguardare la memoria», lo è anche per ribadire ancora una volta un concetto che magari si dà per scontato ma proprio per questo si dimentica. E cioè che «alla fin fine, a parte qualche idealista, al fronte ci va la povera gente, mentre chi comanda se ne resta a casa magari arricchendosi proprio grazie alla guerra». Come succede a due dei personaggi del romanzo: un cugino di Domenico e il marito di Mafalda.
Dario Cercek
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.