Lecco: presunta diffamazione via social ad un'impresa edile. A processo un ex cliente
Il tribunale di Lecco
Una vicenda, quella discussa stamani in tribunale a Lecco al cospetto del giudice in ruolo monocratico Martina Beggio, che risale al 2019 quando E.P. classe 1990, avrebbe scritto un post sui social ritenuto lesivo nei confronti dell'immagine di un'impresa edile con sede legale a Lecco. Alla base delle critiche il rapporto non propriamente idilliaco che il giovane, pugliese d'origine ma residente in provincia di Milano, aveva instaurato appunto con la società. Se l'accordo per la ristrutturazione del suo appartamento era stato definito, i lavori non sarebbero mai effettivamente entrati nel vivo per una serie di incomprensioni reciproche, come ha asserito anche la sorella dell'imputato, difeso d'ufficio dall'avvocato Matteo Basso del foro di Lecco.
Sta di fatto che quando il titolare dell'impresa ha notato le dichiarazioni che un profilo social a suo avviso ascrivibile all'ex cliente, avrebbe reso nei suoi confronti, si è rivolto ad un legale, presentando poi una querela per diffamazione.
Stamani in aula sono sfilati i testimoni di pubblica accusa e difesa. A cominciare da una socia dell'impresa lecchese, deputata alla contabilità, che ha tuttavia asserito di non aver notato cali di fatturato a seguito del post incriminato, contenente una serie di accuse effettivamente pesanti nei confronti della società edile e soprattutto del suo legale rappresentante, equiparato senza troppi giri di parole ad un truffatore. La sorella dell'imputato e il suo fidanzato, hanno invece riferito in merito all'avvio del cantiere o meglio, al continuo ''zoppicare'' dello stesso, con i lavori che proprio non riuscivano a procedere a causa di continue problematiche che a detta loro sarebbero state sollevate proprio dall'impresa. I due hanno poi escluso che dietro a quel profilo probabilmente fake, autore dello scritto al centro del procedimento penale, ci fosse il rispettivo fratello e cognato.
Conclusa la loro deposizione è toccato al vpo Scarselli dare il via alla discussione, stigmatizzando i toni del post, ritenuti pesanti e diffamatori a prescindere da quelli che erano i rapporti fra le parti. Il PM, ritenendo provata la penale responsabilità dell'imputato ne ha chiesto la condanna alla pena di otto mesi di reclusione oltre al pagamento di 550 euro di multa.
Una posizione alla quale si è associato il legale di parte civile, ritenendo che la diffamazione sia avvenuta in toto: per quel che concerne il contenuto del post, ma anche sul piano legale poichè l'autore dello stesso paventava la possibilità di rivolgersi ad un avvocato per chiedere giustizia, adducendo colpe nei confronti del proprio assistito che avrebbe dunque subito un danno d'immagine.
Per la difesa invece, manca la riconducibilità del profilo che avrebbe scritto la ''recensione'' all'identità del giovane imputato, che a suo parere deve essere assolto ''perchè il fatto non sussiste''. L'avvocato Basso ha poi messo in discussione la provenienza del post, il numero di visualizzazioni dello stesso e un rapporto committente-artigiano differente da quella emersa nel dibattimento. ''Manca inoltre la prova relativa al presunto danno economico subito dalla parte civile'' ha concluso il difensore che ha messo in evidenza altri aspetti formali emersi nel corso dell'udienza, come ad esempio il mancato deposito di conclusioni scritte da parte della collega di parte civile per la richiesta di un risarcimento.
Si torna in aula il prossimo 4 maggio per eventuali repliche e la sentenza finale.
G.C.