Il comparto agroalimentare Lariano: addetti imprese, interscambi. Bilancio a fine 2021
Ebbene negli ultimi sei anni nell'area lariana, sono diminuite le imprese agroalimentari, ma il numero degli addetti cresce. Dunque, riducendo all'osso, meno aziende ma quelle che restano crescono. Il calo delle imprese nel comparto è del 2% nel Lariano, pari a 73 unità: Como ne ha perse 47 (-2%) e Lecco 26 (-2%). E lo scenario locale è migliore di quello nazionale (-3,3%) e soprattutto di quello regionale (-7%). Dal 2016 al 2021 ci sono 27 mila aziende agroalimentari in meno in Italia, di cui 3.600 lombarde. A destare un po' di speranza è tuttavia Como, che nei dodici mesi del 2021 ha segnato un timido + 0,4% (con 10 imprese in più). Il caso comasco viene però controbilanciato da quello Lecchese (-0,2% a causa della diminuzione di 3 attività). Ma soprattutto il lieve calo nell'arco del 2021 ha interessato sia la Lombardia (-0,5% per la diminuzione di 265 imprese) sia l'Italia (-0,3% registrando 2.500 unità in meno).
C'è da dire che il Lariano non parte già da una situazione di vantaggio. Con le sue circa 3.500 aziende agroalimentari, il comparto rappresenta il 5,3% dell'imprenditoria totale. Come noto sono altri i settori che tradizionalmente sono maggiormente sviluppati tra Como e Lecco. In Lombardia l'agroalimentare in percentuale vale qualcosa in più: 6% con le sue quasi 49 mila attività. Mentre l'incidenza nazionale è ben maggiore: 15% con 774 mila imprese votate all'agroalimentare.
Come anticipato, sono invece cresciuti gli addetti al lavoro. Sempre prendendo come riferimento temporale gli ultimi sei anni, si è notato un aumento del 19% nel Lariano, con oltre 1.700 persone in più. Una caratteristica dell'agroalimentare che riguarda specialmente Lecco (+26,9%, pari a 913 lavoratori in più) rispetto a Como, che comunque ha visto un aumento di 828 unità (+14,3%). Il dato è in linea con quello regionale e nazionale. La Lombardia ha avuto una crescita di quasi 30 mila addetti (+24,4%). I lavori del settore in Italia sono aumentati di circa 262 mila unità (+20,8%).
Ora, il comparto agroalimentare non è costituito solo dal mondo delle coltivazioni agricole. È un aggregato che comprende anche la produzione di prodotti animali, la caccia e servizi connessi; la pesca; le industrie alimentari e delle bevande. Sottosettori interconnessi tra loro, in quanto fanno parte della medesima filiera produttiva, trasformativa e distributiva. I numeri sopra esposti inducono tuttavia a prendere un po' con le pinze il mito del ritorno alla terra, che viene spesso esaltato dalla cronaca, pronta a raccontare gli encomiabili tentativi di riscoprire il rapporto sano ed equo tra natura e uomo. Una narrazione che si era intensificata negli anni pre-Covid con la nuova ondata ambientalista, accantonata successivamente dalla stampa per dedicarsi alla pandemia prima e alle bombe poi. Era apparsa quasi come una nuova tendenza, specialmente tra i giovani (complici i sussidi statali e i bandi regionali per incentivare la nascita di nuove aziende agricole), quella della vita contadina come scelta etica prima ancora che professionale, data la predilezione per il biologico, ça va sans dire. I numeri dello studio, pur allargando il raggio di analisi all'intero comparto agroalimentare, suggeriscono tuttavia di prendere con la debita cautela gli scenari bucolici per cui in molti avrebbero abbandonato la vita di prima per gestire da zero terreni agricoli o fattorie.
Il documento elaborato dalla Camera di Commercio Como-Lecco esamina anche le esportazioni e le importazioni nel comparto agroalimentare. Le curve di export ed import sono chiaramente dettate da una moltitudine di fattori, i più impattanti dei quali sono da imputare quantomeno alle politiche nazionali, ma soprattutto a quelle comunitarie e non di meno al quadro internazionale. Da questo punto di vista il contesto post-pandemico, le politiche sulle esportazioni della Cina e la guerra in Ucraina con annessi e connessi rischiano di sconquassare l'ordine degli scambi commerciali, con ripercussioni su ogni settore dell'economia. Tra un anno la situazione potrebbe essere profondamente differente dalle tendenze in corso.
A parità di fattori esterni, più un'azienda cresce di volume e più punta gli occhi verso il mercato estero. Alla luce della combinazione dei dati sulla variazione del numero di aziende agroalimentari e dell'aumento del personale addetto, non stupisce perciò che l'export lariano nell'ultimo triennio sia cresciuto.
Le esportazioni totali lariane realizzate nel 2021 ammontano a 10,6 miliardi di euro. Di questi 697,7 milioni riguardano il comparto agroalimentare (6,6%). Questo segmento è in crescita sia rispetto al 2020 del 2,1% (14,4 milioni di euro in più) sia in confronto al 2019 del 9,4% (+60,2 milioni di euro). La Provincia di Como in realtà non fa benissimo: l'export è calato di 4 milioni di euro (-1%) nei confronti del 2020, ma resta un miglioramento rispetto al 2019, per 21,2 milioni in più (crescita del 5,8%). A Lecco invece l'export dell'agroalimentare è aumentato sia rispetto al 2020 (+6,3%, pari a +18,4 milioni) che al 2019 (+14,4%, pari a +39,1 milioni). In Italia e in Lombardia l'export agroalimentare è aumentato di circa l'11% rispetto al 2020 e di qualche punto ulteriore rispetto al 2019.
Discorso a parte invece l'import del comparto agroalimentare. Se a livello nazionale e anche regionale cresce nel triennio, lo stesso non si può dire per il Lariano, che ha un andamento altalenante. Maglia nera per Lecco, che cala nel valore assoluto di 11,6 milioni di euro rispetto al 2020 (-6,6%) e di 36 milioni nei confronti del 2019 (-8,1%). Como cresce di appena lo 0,7% (2,5 milioni di euro) nei confronti del 2020, mentre fa meglio rispetto al 2019, con una crescita del 17,5% (54,1 milioni). Insieme le due Province calano dunque dell'1,7% rispetto al 2020, ma crescono del 3,6% in confronto al 2019.