Stefano Valsecchi all'uscita del Tribunale di Lecco dopo la sentenza di primo grado
L'alleggerimento auspicato dalla difesa non c'è stato. La pena irrogata in primo grado dal Gup del Tribunale di Lecco
Salvatore Catalano a carico di
Stefano Valsecchi, omicida reo confesso dell'olginatese
Salvatore De Fazio, è stata quest'oggi confermata. Non poteva andare peggio, nel senso che, non avendo la pubblica accusa proposto Appello, la condanna poteva essere soltanto interamente “cristallizzata” oppure limata al ribasso accogliendo le motivazioni dell'avvocato
Marcello Perillo, legale del manovale calolziese, in carcere dalla settimana successiva la fredda uccisione del 46enne, padre di tre figli. La toga lecchese, nei propri motivi d'Appello, esposti quest'oggi in Aula, ha insistito in particolare per il riconoscimento dell'attenuante della provocazione nonché per la derubricazione dell’ipotesi di reato da tentato omicidio a lesioni gravissime per quanto concerne il secondo capo d’imputazione ascritto a Valsecchi, ossia il ferimento di
Alfredo De Fazio, fratello della vittima - attinto, quel drammatico 13 settembre 2020, da un colpo d'arma da fuoco alla mandibola - costituitosi parte civile, come la moglie e i ragazzi di Salvatore, tramite l'avvocato Nadia Invernizzi. Quest'ultima, in udienza preliminare, al cospetto del Gup lecchese, aveva messo in discussione l'impianto accusatorio tracciato dal sostituto procuratore
Paolo Del Grosso, non avendo il PM contestato al 56enne l'aggravante della premeditazione, tra l'altro ostativa al rito abbreviato scelto dalla difesa. Secondo l'avvocato Invernizzi – come pure del collega
Luciano Bova in rappresentanza delle cinque sorelle della vittima (Palma, Rosina, Ornella, Anna e Nerina) e della madre Rosina Aloe – Valsecchi quella domenica di sangue era partito da casa con la precisa volontà di uccidere, circostanza negata invece dall'assassino che in interrogatorio di garanzia aveva parlato di un confronto degenerato nel volgere di pochi minuti, senza che la sparatoria fosse pre-ordinata. Come emerso dalle indagini, l'uomo si era portato all'incrocio tra via Albegno e via Santa Maria La Vite, dopo aver chiesto appuntamento a De Fazio per chiarire quanto accaduto la sera prima e dunque il pestaggio del figlio Michele per mano, parrebbe, di uno dei ragazzi della famiglia olginatese. Tre i colpi esplosi all'indirizzo del 46enne, l'ultimo al volto. Vent'anni, in abbreviato, la pena chiesta a Lecco dal dottor Del Grosso; 19 anni e 4 mesi la condanna irrogata dal giudice, concedendo le attenuanti generiche prevalenti alla contestata recidiva.
19 anni e 4 mesi il “conto” ribadito oggi in Appello. Tra 60 giorni le motivazioni. Nell'attesa di leggerle, l'avvocato Invernizzi si dice soddisfatta. "Non mi fermo qui: sono convinto che la provocazione ci sia stata" il commento invece dell'avvocato Perillo. "Andrò in Cassazione".
A.M.