In tantissimi in marcia contro la guerra, 'non è erigendo muri e sventolando bandiere che si ricostruisce la pace'

Il vento di quest’oggi ha fatto sventolare ancora più forte i colori della pace che hanno caratterizzato il pomeriggio lecchese. In tantissimi, gli organizzatori dicono oltre 3mila, sono scesi in piazza per partecipare alla marcia della pace partita da Olginate nei pressi del ponte di legno poco dopo le 15.00. Una marcia compatta che ha percorso i tradizionali dieci chilometri quasi interamente sulla ciclabile, attraversando i paesi di Garlate e Pescate per arrivare a Lecco “abbracciando” la città dal ponte Azzone Visconti e dal ponte Kennedy. L’iniziativa, lanciata dal Tavolo per la pace e dal Comitato per la pace e la cooperazione tra i popoli, ha visto l’adesione di quasi cento realtà del territorio ma durante il lungo corteo nessuna bandiera di appartenenza, solo centinaia di vessilli della pace e qualcuno anche con i colori dell’Ucraina a testimoniare la solidarietà dei lecchesi al popolo assediato. Presenti anche molti sindaci della provincia, di diversi partiti e appartenenze politiche.

Ad aspettare il corteo in piazza Cermenati due ore e mezza dopo la sua partenza, il coro guidato da Giuseppe Caccialanza che sulle note di “La guerra di Piero”, “C’era un ragazzo” e “Generale” ha accolto i manifestanti che in mezz’ora hanno riempito l'agorà lecchese per il momento finale in cui sul palco si sono alternati diversi discorsi.
Ad aprire il dibattito la lettura del documento sottoscritto dalle realtà aderenti che ha ricordato come la marcia abbia voluto essere un atto “democratico e solidale”, un gesto per “riconoscere l’altro come portatore di uguali diritti e uguali doveri”. Un passaggio importante dedicato al tema della “reciprocità”, approccio indispensabile per risolvere le controverse con la non violenza e il dialogo. Un lungo applauso spontaneo è nato dopo la citazione dell’articolo 11 della Costituzione: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Don Marco

Molto apprezzato dai presenti anche l’intervento di Don Marco Tenderini. Il responsabile lecchese della Caritas ha esordito ricordando che “non è erigendo muri e sventolando bandiere che si ricostruisce la pace". Poi ha ricordato a che cosa bisognerebbe opporsi con fermezza: “All’imperialismo russo e americano, al nazionalismo, a tutte le guerre, all’annullamento degli spazi di democrazia e dissenso. Diciamo no all’uso strumentale della religione e all’invio di armi che allontanano la pace. No all’allargamento della Nato di cui auspichiamo lo scioglimento. No all’aumento delle spese militari, agli F35 e alle bombe atomiche”. Don Marco ha poi passato in rassegna i “Sì” che la piazza auspica: “Il dialogo, il rispetto e la tolleranza, i diritti umani, l’immediato cessate fuoco, l’accoglienza dei profughi di tutte le guerre, perché non ci sono guerre vere e guerre false. Sì anche ai cittadini russi che si oppongono alla guerra e al regime, sì alla religione di Papa Francesco, sì ad un’Ucraina multietnica e neutrale. Sì ad una revisione del funzionamento del consiglio dell’Onu e all’abolizione del diritto di veto. Sì alla pace e alla giustizia anche nella relazione con l’ambiente”.

In rappresentanza delle istituzione ha preso poi la parola il sindaco di Lecco Mauro Gattinoni, che ha ricordato come il ruolo dei primi cittadini sia quello di proteggere le proprie comunità e sia proprio questo sentimento che idealmente colleghi le istituzioni locali a quelle ucraine, rivolgendo un pensiero anche ai 12 sindaci di cui da un mese non si hanno notizie e rinnovando il ringraziamento al territorio che ha permesso l’accoglienza di 680 persone in fuga da questa guerra. Andando verso la conclusione è intervenuto un attivista di Emergency, Matteo Guffrida, che ha ricordato come la miseria della guerra sia diffusa in molti luoghi del mondo, citando lo Yemen dove da sette anni i civili sono bombardati dall’Arabia Saudita.

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Francesco Vignarca, della Rete pace e disarmo, ha infine ricordato quali sono le parole d’ordine che devono guidarci in questo momento: soccorrere e proteggere i civili, disarmare i governi, supportare il negoziato per arrivare ad una vera sicurezza condivisa per tutti. Citando Alex Langer, l’attivista ha ricordato che queste idee sono gli strumenti più forti di per prevenire la guerra: “È un percorso lungo che ha bisogno di strumenti che vanno costruiti e che può anche avere delle battute di arresto, ma se fallisce un’azione di pace lascia meno macerie di un riuscito intervento militare”.
M.V. - B.P.
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