Protesi al ginocchio: una ventina i pazienti che chiedono di costituirsi parte civile nel processo ai medici. Si torna in aula a giugno
Il tribunale di Monza
Ieri mattina l'ampia sala verde della Provincia di Monza e Brianza intitolata a Egidio Ghezzi ha ospitato - oltre ai difensori dei due medici - i legali di molti ex pazienti, interessati a prendere parte attiva nel procedimento per ottenere un risarcimento dei danni.
Su 91 interventi chirurgici ritenuti sospetti però, solo una ventina di degenti (alcuni dei quali residenti fra la Brianza e il lecchese) hanno chiesto di costituirsi parte civile per le presunte lesioni personali gravi nei confronti dei due ortopedici, all'epoca dei fatti in servizio al Policlinico di Monza (dichiaratosi estraneo alla vicenda). A questo proposito alcuni legali hanno chiamato in causa la struttura ospedaliera, nel ruolo di (presunto) responsabile civile.
Quello di cui si è discusso ieri mattina è il secondo filone dell'indagine giudiziaria; Valadè e Bestetti (noto nel lecchese per aver collaborato anche con una realtà sanitaria locale) infatti, hanno già patteggiato lo scorso anno dinnanzi al gup Patrizia Gallucci per l'ipotesi di reato di corruzione. Le contestazioni si sono poi estese, tanto che nelle scorse settimane il procuratore aggiunto monzese Manuela Massenz aveva firmato la richiesta di rinvio a giudizio nei loro confronti per lesioni, con l'udienza preliminare fissata per mercoledì 6 aprile dinnanzi al giudice Gianluca Tenchio.
Secondo l'ipotesi formulata dalla Procura - e ancora tutta da provare - i due avrebbero tratto in inganno i pazienti (provenienti da tutta Italia e dai sessant'anni in su) convincendoli della assoluta necessità dell'intervento chirurgico quando invece l'operazione era superflua.
La Procura di Monza, oltre alle intercettazioni, ha fatto visionare ad un consulente tecnico una ad una le cartelle cliniche dei pazienti a cui è stata impiantata una protesi Ceraver. L'obiettivo era quello di identificare quelli a cui, secondo il capo di imputazione, "rappresentando la necessità di un intervento chirurgico di artroplastica di ginocchio pur consapevole dell'insussistenza dei presupposti per tale indicazione, in assenza di valido consenso espresso dal paziente in quanto carpito dallo specialista mediante informazioni scorrette" sono state provocate lesioni "consistite nella incisione chirurgica in anestesia totale e nell'asportazione di parte dell'articolazione, da cui derivava un'inabilità di oltre 40 giorni e l'indebolimento permanente dell'organo della deambulazione conseguente all'impianto di una protesi".
Si torna dunque in aula fra due mesi; il giudice ha disposto un rinvio per notificare al Policlinico la chiamata a presentarsi come responsabile civile e al contempo per esaminare le richieste di costituzione delle presunte vittime, in maggioranza presentate nei confronti del dottor Valadè.
Nulla è invece emerso rispetto alle intenzioni processuali dei medici; appare improbabile che decidano di adire a riti alternativi, avendo sostenuto a più riprese di avere agito solo per il bene dei pazienti. Alcuni fra questi ultimi infatti, sarebbero rimasti a farsi curare anche dopo lo scoppio dello scandalo delle protesi.
Fra l'altro per i fatti più datati in contestazione incombe il rischio della prescrizione.