Uomini da non lasciare soli
In questi tempi bui e assai inquietanti per il susseguirsi di crisi ambientali, sanitarie, economiche, sociali ed ora pure di guerra a noi sempre più preoccupantemente vicina, non possiamo più credere che alla base di tutto ciò non ci sia una crisi strutturale di sistema.
Eppure proprio in ragione di ciò diventa indispensabile intravvedere ragioni e uomini di speranza che sappiano rappresentare modelli di riferimento per una rinnovata etica sociale e civile. Dei "modelli" che sappiano indicare orizzonti concreti di dignità esistenziale rompendo schemi di quasi rassegnazione al peggio e che siano riconducibili a valori e coerenze "normali" in un mondo che spesso, in modo anomalo, "gira a rovescio".
E' questa la considerazione che mi scaturisce dal cuore e dal cervello dopo aver letto " I NEMICI DELLA GIUSTIZIA" un recentissimo ( novembre 2021) e assai coinvolgente libro-intervista scritto dal giornalista Saverio Lodato col magistrato Nino di Matteo.
Un libro pacato nei toni e caratterizzato da un'alta responsabilità istituzionale e politica ma al contempo, per le stesse ragioni, giustamente assai inquietante.
L'effetto stridente che ne deriva è quello di dover costatare una volta in più come di fatto i magistrati più esposti, specialmente in tema antimafia, rischino di essere isolati nel perseguimento delle loro funzioni a fronte di grandi e retoriche dichiarazioni di "vicinanza" dei massimi livelli politici e istituzionali, specie nelle varie ricorrenze celebrative pubbliche.
Il tutto frammischiato da una più o meno strisciante narrazione mediatica di graduale indifferenziata delegittimazione dovuta a quella che in modo fuorviante viene definita una "guerra tra Politica e Magistratura".
Illuminante, e da ben centellinare, è la risposta del dott. Di Matteo interpellato proprio su tale presunta "guerra" da Saverio Lodato ( il grassetto è mio ) :
"No, sarebbe troppo facile definirla così. Siamo in presenza di un'offensiva, molto ben organizzata, abilmente sostenuta sotto il profilo mediatico, di una parte consistente del potere politico, economico, finanziario, e persino giudiziario, contro quella porzione della magistratura che, in ossequio ai principi costituzionali, si è ostinata a voler esercitare il controllo di legalità a 360 gradi, per individuare e reprimere anche fenomeni di criminalità del potere".
Precise affermazioni che ogni cittadino che non voglia "tenere la testa nel sacco" non può non collegare a quest'altro passaggio di Nino di Matteo preso a prestito dalla retro copertina di un altro libro della coppia Lodato- Di Matteo (settembre 2018) "IL PATTO SPORCO" :
"Chiediamo perché politica, istituzioni, cultura abbiano avuto bisogno delle parole dei giudici per cominciare finalmente a capire ... Un manipolo di magistrati e di investigatori ha dimostrato di non aver paura a processare lo Stato. Ora anche gli altri devono fare la propria parte. "
Allo stesso cittadino che si interroga a fondo su uno dei pilastri della nostra Convivenza Civile rappresentato dall'effettiva applicazione del principio della "Legge uguale per tutti " non può non
risultare contraddittorio, se non addirittura incomprensibile, quanto sembra delinearsi da vari contenuti della cosiddetta "riforma della giustizia Cartabia".
Mi si scuserà se riporto un passaggio letterale un po' lungo del libro che rende però nitidamente l'idea di questo sconcerto istituzionale, più di tante altre parole :
Domanda di Lodato :
"Mentre si discuteva della riforma, i magistrati simbolo della lotta alla mafia, oltre a lei Gian Carlo Caselli, Roberto Scarpinato, Nicola Gratteri, Luca Tescaroli e l'ex presidente del Senato Pietro Grasso, hanno espresso giudizi duri nei confronti della riforma, soprattutto per quanto riguarda le questioni legate alla criminalità organizzata. Alcune di quelle preoccupazioni, in parte, sono rientrate. Ma non trova strano che in un Paese con una magistratura d'eccellenza, dovuta purtroppo alla presenza di poteri criminali altrettanto eccellenti, non ci sia stato un tavolo comune con la ministra Cartabia e questi magistrati ?"
Risposta di Di Matteo :
"Non è una questione di tavolo. Alcuni di questi magistrati erano stati interpellati in sede istituzionale sul progetto di riforma. E' qualcosa di diverso e per me più preoccupante. E' possibile che un governo con una maggioranza così ampia che lo sostiene, una ministra di indiscutibile capacità ed eccellenza tecnica, tanti magistrati consulenti e collaboratori dell'esecutivo non si siano accorti dei danni letali che quella riforma avrebbe arrecato alla lotta alla mafia ? E' mai possibile che sia stata ancora una volta necessaria l'esposizione pubblica dei magistrati antimafia, sempre i soliti pochi, per richiamare l'attenzione su aspetti gravi e inopportuni della riforma ?
E' un dato di fatto. E ci rattrista profondamente. Equivale a un'implicita indicazione : la lotta alla mafia è condotta non dallo Stato ma da alcuni magistrati, fanatici e inutilmente allarmisti. Un gruppo ristretto di disperati oltranzisti che, come gli ultimi soldati giapponesi, si ostinano a combattere una guerra ormai finita. Come ho già ricordato, per quanto riguarda i processi di mafia, seppure in maniera non del tutto soddisfacente, il progetto di riforma è stato modificato in extremis. Non è la prima volta che capita ...."
Come non comparare queste pesantissime sofferte esternazioni anche alla giornata della memoria delle vittime della Mafia che si è appena celebrata ? Qual è uno dei modi più coerenti per onorarli se non quello di non lasciar soli quelli che stanno cercando i colpevoli e gli effettivi "mandanti" ?
Personalmente non posso non ricordare ciò che ho appena percepito da un gruppo di insegnanti all'uscita dall'incontro pubblico svoltosi poco tempo fa ad Oggiono con Giuseppe Costanza, l'autista di Giovanni Falcone che in modo significativo aveva esordito il suo intervento con «Oggi avrete delle notizie poco gradite, ma vanno dette».
Come non avvertire dalla sua analisi, ben oltre gli aspetti ricostruttivi cronologici, il "disagio" dei veri servitori dello Stato nel rilevare le ombre e le contraddizioni ancora persistenti di parti cospicue dello Stato stesso sulle stragi ed annesse questioni ?
E come non ricordare le titubanze che ho intuito in quelle professoresse sull'opportunità educativa che tali "scomodità" potessero essere trasmesse ai loro studenti nel corso dell'analogo incontro che si sarebbe svolto il giorno successivo presso il loro istituto ?
Avrei voluto dire loro che comprendevo solo in parte il loro dubbio intuibilmente orientato a giustamente preservare l'onorabilità delle istituzioni da queste pesanti ombre, invitandole però a trasmettere ai ragazzi il senso critico di chi prova a discernere il vero volto delle istituzioni credibili (come Costanza stesso) spesso lasciate, nei fatti, isolate da quelle purtroppo a vario titolo contigue (termine coniato da Falcone stesso) alle varie tipologie del malaffare o anche solo colpevolmente "girate dall'altra parte".
Ecco perché persone come Di Matteo e gli altri veri servitori dello Stato non devono essere lasciati soli ma semmai apertamente sostenuti.
Non è un caso che lo stesso Di Matteo abbia ben meritato nell'ultima tornata elettiva la candidatura da parte di non pochi a Presidente della Repubblica.
E a proposito di quest'ultima importantissima carica : che grande significato avrebbe un gesto esplicito di vicinanza e di condivisione da parte del Presidente Mattarella, peraltro anche nel suo ruolo volto a presiedere l'organo di autogoverno della Magistratura, nei confronti di questi magistrati che sarebbero "normali" in un Paese normale, ma che invece sono, purtroppo a ragione, ritenuti "di frontiera" !
Eppure proprio in ragione di ciò diventa indispensabile intravvedere ragioni e uomini di speranza che sappiano rappresentare modelli di riferimento per una rinnovata etica sociale e civile. Dei "modelli" che sappiano indicare orizzonti concreti di dignità esistenziale rompendo schemi di quasi rassegnazione al peggio e che siano riconducibili a valori e coerenze "normali" in un mondo che spesso, in modo anomalo, "gira a rovescio".
E' questa la considerazione che mi scaturisce dal cuore e dal cervello dopo aver letto " I NEMICI DELLA GIUSTIZIA" un recentissimo ( novembre 2021) e assai coinvolgente libro-intervista scritto dal giornalista Saverio Lodato col magistrato Nino di Matteo.
Un libro pacato nei toni e caratterizzato da un'alta responsabilità istituzionale e politica ma al contempo, per le stesse ragioni, giustamente assai inquietante.
L'effetto stridente che ne deriva è quello di dover costatare una volta in più come di fatto i magistrati più esposti, specialmente in tema antimafia, rischino di essere isolati nel perseguimento delle loro funzioni a fronte di grandi e retoriche dichiarazioni di "vicinanza" dei massimi livelli politici e istituzionali, specie nelle varie ricorrenze celebrative pubbliche.
Il tutto frammischiato da una più o meno strisciante narrazione mediatica di graduale indifferenziata delegittimazione dovuta a quella che in modo fuorviante viene definita una "guerra tra Politica e Magistratura".
Illuminante, e da ben centellinare, è la risposta del dott. Di Matteo interpellato proprio su tale presunta "guerra" da Saverio Lodato ( il grassetto è mio ) :
"No, sarebbe troppo facile definirla così. Siamo in presenza di un'offensiva, molto ben organizzata, abilmente sostenuta sotto il profilo mediatico, di una parte consistente del potere politico, economico, finanziario, e persino giudiziario, contro quella porzione della magistratura che, in ossequio ai principi costituzionali, si è ostinata a voler esercitare il controllo di legalità a 360 gradi, per individuare e reprimere anche fenomeni di criminalità del potere".
Precise affermazioni che ogni cittadino che non voglia "tenere la testa nel sacco" non può non collegare a quest'altro passaggio di Nino di Matteo preso a prestito dalla retro copertina di un altro libro della coppia Lodato- Di Matteo (settembre 2018) "IL PATTO SPORCO" :
"Chiediamo perché politica, istituzioni, cultura abbiano avuto bisogno delle parole dei giudici per cominciare finalmente a capire ... Un manipolo di magistrati e di investigatori ha dimostrato di non aver paura a processare lo Stato. Ora anche gli altri devono fare la propria parte. "
Allo stesso cittadino che si interroga a fondo su uno dei pilastri della nostra Convivenza Civile rappresentato dall'effettiva applicazione del principio della "Legge uguale per tutti " non può non
risultare contraddittorio, se non addirittura incomprensibile, quanto sembra delinearsi da vari contenuti della cosiddetta "riforma della giustizia Cartabia".
Mi si scuserà se riporto un passaggio letterale un po' lungo del libro che rende però nitidamente l'idea di questo sconcerto istituzionale, più di tante altre parole :
Domanda di Lodato :
"Mentre si discuteva della riforma, i magistrati simbolo della lotta alla mafia, oltre a lei Gian Carlo Caselli, Roberto Scarpinato, Nicola Gratteri, Luca Tescaroli e l'ex presidente del Senato Pietro Grasso, hanno espresso giudizi duri nei confronti della riforma, soprattutto per quanto riguarda le questioni legate alla criminalità organizzata. Alcune di quelle preoccupazioni, in parte, sono rientrate. Ma non trova strano che in un Paese con una magistratura d'eccellenza, dovuta purtroppo alla presenza di poteri criminali altrettanto eccellenti, non ci sia stato un tavolo comune con la ministra Cartabia e questi magistrati ?"
Risposta di Di Matteo :
"Non è una questione di tavolo. Alcuni di questi magistrati erano stati interpellati in sede istituzionale sul progetto di riforma. E' qualcosa di diverso e per me più preoccupante. E' possibile che un governo con una maggioranza così ampia che lo sostiene, una ministra di indiscutibile capacità ed eccellenza tecnica, tanti magistrati consulenti e collaboratori dell'esecutivo non si siano accorti dei danni letali che quella riforma avrebbe arrecato alla lotta alla mafia ? E' mai possibile che sia stata ancora una volta necessaria l'esposizione pubblica dei magistrati antimafia, sempre i soliti pochi, per richiamare l'attenzione su aspetti gravi e inopportuni della riforma ?
E' un dato di fatto. E ci rattrista profondamente. Equivale a un'implicita indicazione : la lotta alla mafia è condotta non dallo Stato ma da alcuni magistrati, fanatici e inutilmente allarmisti. Un gruppo ristretto di disperati oltranzisti che, come gli ultimi soldati giapponesi, si ostinano a combattere una guerra ormai finita. Come ho già ricordato, per quanto riguarda i processi di mafia, seppure in maniera non del tutto soddisfacente, il progetto di riforma è stato modificato in extremis. Non è la prima volta che capita ...."
Come non comparare queste pesantissime sofferte esternazioni anche alla giornata della memoria delle vittime della Mafia che si è appena celebrata ? Qual è uno dei modi più coerenti per onorarli se non quello di non lasciar soli quelli che stanno cercando i colpevoli e gli effettivi "mandanti" ?
Personalmente non posso non ricordare ciò che ho appena percepito da un gruppo di insegnanti all'uscita dall'incontro pubblico svoltosi poco tempo fa ad Oggiono con Giuseppe Costanza, l'autista di Giovanni Falcone che in modo significativo aveva esordito il suo intervento con «Oggi avrete delle notizie poco gradite, ma vanno dette».
Come non avvertire dalla sua analisi, ben oltre gli aspetti ricostruttivi cronologici, il "disagio" dei veri servitori dello Stato nel rilevare le ombre e le contraddizioni ancora persistenti di parti cospicue dello Stato stesso sulle stragi ed annesse questioni ?
E come non ricordare le titubanze che ho intuito in quelle professoresse sull'opportunità educativa che tali "scomodità" potessero essere trasmesse ai loro studenti nel corso dell'analogo incontro che si sarebbe svolto il giorno successivo presso il loro istituto ?
Avrei voluto dire loro che comprendevo solo in parte il loro dubbio intuibilmente orientato a giustamente preservare l'onorabilità delle istituzioni da queste pesanti ombre, invitandole però a trasmettere ai ragazzi il senso critico di chi prova a discernere il vero volto delle istituzioni credibili (come Costanza stesso) spesso lasciate, nei fatti, isolate da quelle purtroppo a vario titolo contigue (termine coniato da Falcone stesso) alle varie tipologie del malaffare o anche solo colpevolmente "girate dall'altra parte".
Ecco perché persone come Di Matteo e gli altri veri servitori dello Stato non devono essere lasciati soli ma semmai apertamente sostenuti.
Non è un caso che lo stesso Di Matteo abbia ben meritato nell'ultima tornata elettiva la candidatura da parte di non pochi a Presidente della Repubblica.
E a proposito di quest'ultima importantissima carica : che grande significato avrebbe un gesto esplicito di vicinanza e di condivisione da parte del Presidente Mattarella, peraltro anche nel suo ruolo volto a presiedere l'organo di autogoverno della Magistratura, nei confronti di questi magistrati che sarebbero "normali" in un Paese normale, ma che invece sono, purtroppo a ragione, ritenuti "di frontiera" !
Germano Bosisio