Lecco: viaggio nell'arte esposta al Palazzo delle Paure, La luce del vero
Enrico Magni
Per scappare da questo pensiero e dall’ossessione del virus, dopo una camminata, decido di entrare a vedere la mostra di pittura a Lecco al Palazzo delle Paure: ‘La luce del vero’. Titolo altisonante e accattivante. Di quale luce? Di quale vero? Sono le prime due domande che scaturiscono. Sono attratto in particolare dai luoghi espositivi e da come sono esposte le opere: è ciò che sottende il locus che muove emozioni e imprime all’opera una dimensione emozionale producendo energie espansive. Noi siamo molecole, atomi, particelle.
L’impatto è piatto, sciatto, insignificante. Non è colpa dell’operatore. Poi c’è l’acquisto del biglietto. Non voglio sconti. Intero. Costo 10€, non poco. Tutta la mostra si svolge al primo piano. Esco insoddisfatto. Sono uscito dicendomi: “ ma sono tutti di Livorno questi postmacchiaioli, postdivisionisti da Fattori a Lega: bravi i toscani”. Tutto qui?
Non sono a Lugano o a Copenaghen, a San Pietroburgo, a New York o a Milano dove c’è la mostra dell'amico Antonio Scaccabarozzi al Museo del Novecento.
Avendo visto sulla scala un biglietto che indicava ancora la mostra fotografica di Luigi Erba, sono salito. L’impatto è stato subito positivo. I miei neuroni occipitali si sono dati da fare producendo associazioni nella corteccia. Luigi ha un occhio speciale, ha un dono, è un artista visivo, non è una cosa da poco. Sono attratto dai segni, dalla semiotica del segno, le foto dei manifesti scattate in lockdown da Luigi mi sollecitano dei sentimenti forti riguardanti la morte degli oggetti e il senso del tempo, che mi richiama Parmenide: Né è divisibile, dacché è, tutto uguale a sé…tutto è ripieno di essere. Perciò tutto è continuo. Il tempo e il cambiamento sono illusioni che tutto ovunque, è una cosa sola.”
Esco soddisfatto. Già che sono lì, decido di fare un giro veloce nella sala dove ci sono le opere contemporanee degli artisti del luogo. Mi soffermo a guardare l’opera di Scaccabarozzi, che è costretta a subire una luce riflessa impropria tanto da deformarla e scatto una foto. Mi compare l’operatrice, mi avvisa che non ho pagato il biglietto, per una e per l’altra sala.
Mi scatta l’embolo. Da marziano rispondo che sono disponibile a prendere i due biglietti, che sono opere che ho già visto, che non sapevo che bisognasse pagare ancora. Da ex consigliere comunale di Lecco inizio a rendere evidente le pecche: biglietti inappropriati appesi alle pareti, scale sporche, mancanza di segnalazione, confusione dei percorsi. Mi fermo, perché non ha senso continuare.
Non c’è nemmeno un piccolo coffee break, una saletta di lettura. Lo stabile quando è stato ristrutturato era predisposto in un altro modo, infatti, non prevedeva l’InfoPoint e altro.
I luoghi d’arte necessitano di un respiro lungo, devono suscitare sensazioni, invogliare i giovani a guardare dentro. Non bastano solo gli eventi. Brutto termine commerciale. Non è un caso che Lecco non abbia un auditorium, sale cinematografiche pubbliche (siamo tornati a quelle parrocchiali), uno spazio per manifestazioni fieristiche, discoteche e non solo. Non è un caso (non è solo una questione di amianto) che il teatro della Società sia chiuso ormai da cinque anni. L’elenco potrebbe continuare. L’antropologia di un luogo è quella che è. E’ un’illusione il cambiamento. Andrò a Lugano, a Milano e in altri luoghi: virus permettendo.
dr. Enrico Magni