Caso Gilardi e telecamere: al processo per diffamazione il 1° 'ciak' in assoluto autorizzato a Lecco. Ma qual è l'interesse?

L'inviata de Le Iene Nina Palmieri con la foto di Carlo Gilardi
nel lancio di una delle puntate dedicate alla vicenda del professore
Perché un processo sì e l'altro no?
La domanda è sorta spontanea dopo che due giudici del Tribunale si sono espressi in maniera opposta pur trovandosi a dover deliberare sullo stesso tema: ammettere o non ammettere le telecamere in Aula. Il “Caso Gilardi” si arricchisce dunque anche di questo argomento. E, neanche a dirlo, non è mancata la presa di posizione del “Comitato Libertà per Carlo Gilardi” che ha polemizzato sul “no” espresso lunedì dal giudice monocratico Giulia Barazzetta, sul cui tavolo è approdato il “fascicolo madre” ovvero quello incentrato sul reato di circonvenzione di incapace contestato dalla Procura di Lecco a cinque soggetti di origini straniere che, nel tempo, si sarebbero approfittati del facoltoso professore ottenendo dalla stesso liquidità o altri benefici quali il comodato d'uso gratuito di abitazioni di sua proprietà. Solo lo scorso 11 febbraio, invece,  il giudice Gianluca Piantadosi aveva assecondato la richiesta avanzata da RTI e da una reporter free lance che potranno così filmare il dibattimento di uno “spin-off” della vicenda giudiziaria principale e dunque il processo per diffamazione intentato dall'avvocato Elena Barra (amministratore di sostegno dell'airunese) nei confronti di due inviate del programma TV Le Iene (la stesso interessato alle riprese) e l'ex badante marocchino dell'ultranovantenne.
“Grave che in una vicenda già densa di ombre e che riguarda la libertà di un anziano che la rivendica da oltre 15 mesi, di levatura nazionale e umana, venga negata la presenza delle telecamere” ha polemizzato il Comitato in una missiva indirizzata alla stampa, commentando la scelta del giudice Barazzetta, aggiungendo altresì “Ancor più grave se lo si fa con motivazioni da "arrampicata sugli specchi" appurato poi, che i legali degli imputati, erano pienamente d'accordo con le riprese in aula. Come diceva il Manzoni, Lecco è un borgo, tutte brave persone, chi ha da temere della verità e della trasparenza in questa spiacevole vicenda?”.
Una delle Aule del Tribunale di Lecco
Considerazioni che, al di là dell'opinione che ognuno si è fatto sul “caso Gilardi”, tradiscono forse un certo digiuno sulla materia.  Le riprese possono essere chieste infatti “ai fini dell'esercizio del diritto di cronaca” (comma 1 dell'art. 147 delle Disposizioni di attuazione del codice di procedura penale), non certo quale tutela della trasparenza (?), essendo il dibattimento comunque pubblico.
L'autorizzazione – precisa  il comma 2 - può essere data anche senza il consenso delle parti quando sussiste un interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento”.
Nel caso di specie non si capisce quale sia la rilevanza pubblica di una questione che, ridotta ai minimi termini  e epurata dal polverone creato da Le Iene attorno al ricovero in RSA del novantenne, riguarda i rapporti intercorsi tra soggetti privati (Gilardi e ciascuno degli imputati). Nemmeno RTI, come rilevato dall'avvocato Stefano Pelizzari – legale di parte civile nominato dall'avvocato Barra nell'interesse dell'amministrato – nel presentare l'istanza ha motivato il perché della richiesta stessa.
La giurisprudenza, tra l'altro, ha stabilito, in caso di difetto del consenso di tutte le parti – lunedì ha detto “no” alle telecamere, tra l'altro, anche la pubblica accusa – i parametri che il giudicante deve seguire nell'esprimersi siano l'oggetto del capo d'imputazione e il corrispettivo bene giuridico tutelato (pensando a reati dunque particolarmente gravi, come le stragi dove in ballo c'è addirittura la minaccia allo Stato o gli omicidi efferati contro dunque la vita) nonché la natura del processo e la notorietà degli imputati (Gilardi, per quanto, suo malgrado, sia stato reso famoso, in questo caso è la persona offesa!). Anche l'avere a che fare con soggetti conosciuti, comunque, da solo non è un elemento ritenuto di per sé sufficiente perché, a garanzia di chi è a giudizio, l'amministrazione della giustizia non deve in ogni caso (e comprensibilmente) prestarsi a spettacolarizzazione. Niente Forum insomma.
Chiarito – cercando di evitare il “legalese” da una parte, senza voler semplificare troppo dall'altra – tutto ciò, fermo restando la discrezionalità del giudice, appare forse più “originale” la decisione del dr. Piantadosi rispetto a quella della collega Barazzetta. Tra l'altro se resterà a Lecco – le difese hanno chiesto di spostare la celebrazione a Brescia, ritenendo non sereno il clima in città, dopo che ad accendere la miccia sono stati proprio gli imputati e gli stessi imputati vorrebbero portare in TV anche il dibattimento, alimentando ulteriormente la tensione attorno al caso, in uno strano cortocircuito – quello intentato dall'avvocato Barra contro Nina Palmieri, Carlotta Bizzarri e Brahim El Mazoury sarà il primo processo registrato in un capoluogo dove, tutto sommato, qualcosa di “grosso” nell'ultimo ventennio è successo, da Metastasi (con un sindaco a giudizio insieme al boss della Locale nostrana) in giù. Istanze in questo senso nel recente passato erano state avanzate in riferimento all'istruttoria per il crollo del ponte di Annone e quella per il Catalogo delle donne sigle. Dinnanzi al “no” di alcune delle parti (come è più frequente che accada – caso Gilardi evidentemente a parte – si erano opposti anche i legali degli imputati) l'allora Presidente della sezione penale Enrico Manzi e la collega Maria Chiara Arrighi - quest'ultima previa “validazione” dello stesso “numero uno”, passaggio a questo giro saltato  – avevano rigettato le richieste, non rilevando dunque l'interesse sociale, nonostante l'eco mediatica di entrambe le vicende.
Un'ultima nota “statistica”. Non si ha riscontro, anche fuori dai confini lariani, di altri procedimenti penali per diffamazione filmati dalla TV. Eppure il reato non è così inusuale, anche tra persone ben più note – non ce ne voglia – dell'inviata de Le Iene. E si torna alla domanda di partenza, forse con altro spirito. Perché un processo sì e l'altro no? Mah.
Alice Mandelli
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