Lecco: Italia e America Latina, ciò che si è fatto e non si è fatto. Ne parla Donato Di Santo

Donato Di Santo
Si parlerà dei rapporti e della collaborazione tra Italia e America Latina, la sera di giovedì 3 marzo alle 21 nella sala conferenze di Palazzo delle paure su iniziativa dell’associazione “Les Cultures”.
Un appuntamento che potrebbe sembrare fuori luogo in questi giorni in cui l’attenzione è concentrata sulle vicende ucraine. Però, guardando oltre oceano si può finire con il ricavare indicazioni istruttive e utili a comprendere anche come vadano certe faccende della politica nel cortile di casa. Ragionando, per esempio, sulla «Russia di Putin che ha una capacità di guardare a vasto raggio, in maniera imperiale, e da tempo è tornata a puntare anche sull’America Latina, dove è sempre più presente, ricostruendo le alleanze di un tempo e andando oltre. Collaborando coi populismi cosiddetti di sinistra come Venezuela e Cuba ma anche con quelli di destra come il Brasile di Bolsonaro. Il quale, pochi giorni prima dell’invasione dell’Ucraina era a Mosca a stringere la mano a Putin».
Sono parole di Donato Di Santo che i lecchesi ricordano come giovane dirigente del Pci (fu segretario provinciale per sei anni, dal 1983 al 1989), prima che lasciasse la città per Roma proprio per occuparsi di America Latina. Impegno che poi è continuato negli oltre trent’anni successivi passando anche per un’esperienza di sottosegretario nel secondo governo Prodi (2006-2008) con Massimo D’Alema come ministro degli esteri. E «fu la prima volta che in un programma governativo di politica estera venne inserito lo sviluppo delle relazioni con l’America Latina in aggiunta ai temi tradizionali e ovvi come Balcani o Mediterraneo».
Un impegno che continua ancora oggi e che Di Santo ha deciso di raccontare in un libro pubblicato da Donzelli nel novembre dello scorso anno, intitolato “Italia e America Latina. Storia di un’idea di politica estera” e la cui presentazione è appunto argomento dell’incontro promosso da “Les Cultures”.
«L’idea – dice – era di raccontare cosa ha fatto e non ha fatto o che magari avrebbe dovuto fare l’Italia nei confronti dell’America Latina nel secondo dopoguerra e soprattutto negli ultimi anni».
Il racconto si sviluppa su due binari. Il primo è l’attività dell’Istituto italo-latino americano (Iila, la sigla) che venne fondato nel 1966 su intuizione di Amintore Fanfani e di altri esponenti della Dc «e fu un’iniziativa molto democristiana, ma anche molto lungimirante, non a caso ottenne il voto favorevole dell’allora Pci, e divenne un pezzo di politica estera del nostro Paese. Si tratta di un’organizzazione intergovernativa che raccoglie una ventina di Paesi latinoamericani e appunto l’Italia, tutti sullo stesso piano. Fino agli anni Ottanta lavorò bene, poi cominciò una fase di declino Per i motivi più diversi. Per esempio, una Spagna uscita dalla dittatura che tornava ad avere voce in capitolo ed era in un certo modo avvantaggiata dal suo passato colonizzatore. Così come noi, d’altro canto, si era avvantaggiati dal fatto di non esserlo stato. Di avere avuto, invece, molta emigrazione in quelle terre dove gli italiani diventavano semmai coloni, non colonizzatori….».
Ed è proprio per superare questa fase di declino che venne creato uno strumento quale la Conferenza Italia-America Latina e Caraibi «alla quale si arrivò nel 2007 – spiega Di Santo – anche passando attraverso la Lombardia che era una regione forte e già aveva avviato una serie di iniziative che divennero poi parte integrante della politica estera italiana. Si volevano creare le condizioni perché quell’iniziativa non fosse legata al singolo governo e cadesse poi con l’avvicendarsi delle maggioranze. Ricordo che andai io stesso al “Pirellone” a parlarne con l’allora presidente regionale Roberto Formigoni. Non fu facile, però si arrivò all’intesa, tenendo tra l’altro conto, nella numerazione degli incontri, di quelli già promossi a livello lombardo. Così, quella “prima” conferenza del 2007 era la terza ed essendo un appuntamento biennale si è arrivati nel 2021 alla decima. Ed è proprio questo traguardo che mi ha dato lo spunto per scrivere il libro cogliendo l’occasione della cifra tonda per una specie di bilancio».
Tra l’altro - aggiunge Di Santo -c’è anche un altro lecchese che ha avuto un grande ruolo sul versante imprenditoriale ed è Cesare Fumagalli, per sedici anni segretario generale della Confartigianato.
«Ora – la conclusione –da strumento solo italiano, la Conferenza deve europeizzarsi. Perché mentre l’Europa guarda altrove, sia la Cina, dal punto di vista economico, sia la Russia, per quello militare, guardano molto all’America Latina».
D.C.
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