Lecco, a processo per reati fiscali per una coop fallita: 'mi sono fidato di papà'

Dovranno essere sentiti altri testimoni in primavera parrebbe essere ormai delineata la linea difensiva di Andrea Bossi, classe 1972, imputato per due reati fiscali quale amministratore di una società cooperativa con sede a Lecco.
Nel filone d'inchiesta derivato dal fallimento della “Dinamica” l'uomo, tutt'ora residente a Teramo, aveva patteggiato insieme al padre Massimo e ad altri co-imputati. Ora, invece, gli viene contestati di aver indicato elementi passivi inesistenti, al fine di evadere le imposte sul valore aggiunto, nella dichiarazione annuale per gli anni d’imposta 2014 e 2015 (nel dettaglio per la prima annualità avrebbe indicato un credito Iva pari a 803mila euro quando in realtà era di soli 61mila e per il 2015 invece avrebbe indicato un credito Iva pari a 844mila euro quando in realtà si trattava di circa 69mila euro) e di non aver versato, in qualità di legale rappresentante pro tempore della Dinamica in liquidazione, le somme dovute utilizzando in compensazione crediti inesistenti per l’ammontare di circa 441mila euro derivanti dall’imposta Ires relativa all’anno 2015 e crediti inesistenti per l’ammontare di circa 106mila euro derivanti dall’imposta Irap per il medesimo anno d’imposta.
Oggi, al cospetto del giudice Giulia Barazzetta si è presentato a testimoniare il maresciallo di GdF Angelo Lombari, che ha seguito le indagini, basandosi soprattutto sull'analisi di costi e ricavi: “i costi riportati nelle dichiarazioni erano fittizi e alla fine facendo l'analisi tra costi effettivi e ricavi effettivi risultava un'imposta evasa pari a 740mila euro per l'anno 2014. Lo stesso modus operandi è stato utilizzato per il 2015”.
“Era evidente che riportavano degli importi “a casaccio” per livellare il debito erariale” ha continuato il maresciallo che ha quindi spiegato di aver “inquadrato” il ruolo dell'odierno partendo dalla visura camerale della cooperativa - dove compariva amministratore legale- e dalle firme da lui apposte alle documentazioni fiscali.
Tuttavia un nome in particolare ha continuato a farsi strada fra i discorsi affrontati in aula, ovvero quello del fiscalista Marco Sarti, venuto a mancare lo scorso anno, supposto amministratore di fatto della fallita. L'hanno confermato non solo le parole del testimone di polizia giudiziaria, ma anche del direttore della filiale di Osio Sotto di un istituto di credito (dove diverse cooperative del gruppo Bossi avevano il proprio conto corrente) e della responsabile del personale della “Dinamica” tra il 2013 e il 2014.  Il primo, coinvolto nelle indagini per presunta omessa segnalazione ed arrivato davanti al Gup per poi ottenere una sentenza di non luogo a procedere, ha infatti ricordato di aver avuto negli anni ben pochi contatti con l'odierno imputato, mentre si sarebbe interfacciato più volte con Sarti e Massimo Bossi. La dipendente della cooperativa, invece, ha confermato che l'ufficio veniva gestito materialmente da Bossi “padre”, la contabilità veniva tenuta da Marco Sarti, mentre le operazioni con gli istituti di credito venivano più che altro eseguite attraverso le piattaforme di homebanking da una sua collega.
Si è quindi fatto avanti Andrea Bossi – assistito in aula dall'avvocato Giuseppe Viggiani - per rendere il proprio esame e affermare la propria estraneità ai fatti.
“Vivo a Teramo da anni, dove ho la mia famiglia” ha dichiarato, negando di occuparsi in alcun modo della gestione della cooperativa. “Venivo convocato solo per firmare dei documenti quando era necessario, non ho mai avuto le chiavette per accedere all'homebanking, non ho mai assunto nessuno né ho fatto colloqui di lavoro”.
Alla richiesta del Vpo Mattia Mascaro se non avesse mai nutrito dubbi sulla sua nomina ad amministratore e a domanda del giudice se avesse letto e compreso il contenuto dei documenti che negli anni aveva firmato la risposta dell'imputato è stata: “Mi sono fidato cecamente di mio padre”.
Il giudice Barazzetta ha quindi aggiornato il processo al 23 maggio.
F.F.
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