Lecco, estorsione a un barista (che chiese un finanziamento e 'rubò' dal salvadanaio del figlio per pagare): 5 anni a un pregiudicato

L'accesso al Tribunale di Lecco
La pubblica accusa aveva chiesto una condanna a 5 anni. E 5 anni sono effettivamente stati erogati. Sentenza pesantissima quella pronunciata questa mattina dal giudice monocratico del Tribunale di Lecco Giulia Barazzetta nei confronti di Domenico Rosello, pregiudicato con casa in città, a processo con l'accusa di estorsione nei confronti di un barista con attività in centro. La denuncia della vittima era arrivata grazie alla capacità di osservazione della Questura. L'esercente era stato infatti portato a "vuotare il sacco" circa le pressioni subite dall'imputato dopo che quest'ultimo - già noto agli operanti - era stato più volte notato dagli agenti all'interno del locale gestito dall'uomo, padre di famiglia, arrivato - secondo la versione resa in Aula, in apertura di dibattimento - a consegnare a Rosello una cifra quantificata tra i 15 e i 17.000 euro. Le prime elargizioni di denaro sarebbero avvenute spontaneamente, mosse dal buon cuore, con l'intento di aiutare il lecchese - compagno di una sua conoscente - ad arrivare alla fine del mese facendo fronte a tutte le spese, inclusa quella di procurarsi del cibo. Le successive, invece, sarebbero - sempre stando al racconto del denunciate, costituitosi parte civile al processo per il tramite dell'avvocato Davide Minervini – state estorte sotto pressione. Rosello, avrebbe chiesto dapprima dei piccoli prestiti al commerciante, salvo poi pretendere cifre sempre più alte, nell'ordine di 50, 100, 200 euro a volta. “In un'occasione si è arrabbiato perché gli ho portato 250 euro in moneta ma avevo dovuto prenderli dal salvadanaio di mio figlio” aveva raccontato in Tribunale nel settembre del 2020, in apertura del procedimento, la vittima, puntualizzando di essere arrivato perfino a chiedere un finanziamento per avere la liquidità necessaria per placare le presunta sete di denaro del suo "taglieggiatore".
“Sono stato veramente male” aveva ripetuto più volte durante la sua deposizione, sottolineando di aver voluto tenere la propria famiglia all'oscuro delle minacce, divenute però sempre meno velate con Rosello pronto a inviargli foto scattate anche sotto la sua abitazione, fuori dall'asilo frequentato da suo figlio o all'interno del suo bar in sua assenza. “L'episodio più grave risale a settembre 2017: si è presentato, ha spostato la maglia e sotto la cintura ho potuto vedere il calcio di una pistola”. Un dettaglio che aveva gelato l'Aula. Eppure il difensore, nel trarre le proprie conclusioni al termine dell'istruttoria, aveva evidenziato come le supposte minacce ascritte all'imputato non fossero state – a suo avviso - così "scalfenti", visto che a spingere la vittima a denunciare è stato solo l'intervento della Polizia. “Rosello è quello che un tempo di definiva Ciccio Pasticcio, non uno che fa paura” aveva detto l'avvocato Paolo Rivetti, rimarcando altresì come il suo cliente abbia più volte manifestato l'intenzione comunque di restituire al suo denunciante il denaro ricevuto.
Aveva invece insisto per la condanna, evidenziando come Rosello, per ottenere il contante facesse leva sui "nervi scoperti" del suo assistito, l'avvocato Minervini, legale del barista. E la condanna, quest'oggi è arrivata. Pari pari a quella chiesta dal viceprocuratore onorario Mattia Mascaro.
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