Ballabio, morte del piccolo Liam: 10 anni alla madre, assolto il papà. Gli atti alla Procura per valutare la posizione dei medici
La mamma condannata a dieci anni per l'omicidio del figlio. E' la sentenza pronunciata nella tarda mattina odierna dalla Corte d'Assise di Como in merito alla morte del piccolo Liam Nuzzo, venuto a mancare il 15 ottobre 2015 a soli 28 giorni dalla venuta al mondo, al termine di una brevissima esistenza costellata da due accessi in ospedale. Il primo per una caduta patita in casa e il secondo dopo la comparsa di rigonfiamenti sulla sua testolina, seguiti da altrettante dimissioni.
Il tribunale di Como, sede della Corte d'Assise
Assolto invece perchè il fatto non sussiste, il padre di Liam, Fabio Nuzzo, 45 anni, con la Corte che ha altresì disposto la trasmissione degli atti alla Procura per ri-valutare la posizione dei medici dell'ospedale Manzoni di Lecco che avevano preso in carico il piccolo ballabiese in occasione del secondo ricovero. Un fascicolo a loro carico era già stato aperto e poi archiviato.
Una vicenda giudiziaria dalla storia ormai più che longeva. Il primissimo sostituto procuratore che si era occupato del caso, la dottoressa Cinzia Citterio - poi trasferitasi a Monza - aveva chiesto l'archiviazione del faldone, dovendo poi procedere a imputazione coatta su disposizione del primo GUP interessato dalla vicenda. Sempre a Lecco un altro giudice, dopo aver disposto una perizia aggiuntiva rispetto a quella commissionata alla Procura, aveva decretato poi il "non luogo a procedere" nei confronti dei genitori del piccino. Una sentenza impugnata dalla Procura generale, convinta nella necessità di entrare nel merito della questione, con carte inviate dunque in Corte d'Assise a Como, competente per reati di tale portata. Qui la discussione si era tenuta in camera di consiglio, avendo optato la difesa per il rito abbreviato e dunque per un processo basato sugli atti d'indagine.
Aurora Ruberto, sulla base del capo d'imputazione riformulato all'apertura del processo bis dall'allora procuratore capo facente funzioni Cuno Tarfusser, era a processo quale presunta autrice materiale dell'omicidio, perché "utilizzando uno strumento contundente ovvero sbattendo la testa del figlio neonato perpendicolarmente su una superficie piana e rigida, produceva a questi fratture paritotemporali bilaterali simmetriche conseguenti ad una compressione-schiacciamento della volta cranica, da cui derivava uno stato di particolare debolezza e di immunodeficienza del neonato tale da favorire l'insorgere di una polmonite interstiziale che portava al decesso di Liam" .
Il marito invece, secondo la tesi accusatoria, "pur perfettamente consapevole delle reiterate condotte lesive e maltrattanti serbate dalla Ruberto verso Liam che hanno portato a ben tre ricoveri ospedalieri nel neonato nei suoi 15 giorni di vita, le tollerava pur avendo l'obbligo morale e giuridico di impedirle, così agevolando e comunque non impedendo le condotte della madre che hanno portato il figlio alla morte. Con l'aggravante di aver commesso il fatto ai danni del discendente".
Dopo la decisione odierna della Corte, che ha ribaltato seppur parzialmente la richiesta della pubblica accusa, spetterà alle toghe lecchesi Nadia Invernizzi e Roberto Bardoni - difensori dei due imputati - stabilire se impugnare la sentenza, come è quasi scontato accadrà. La vicenda, a oltre sei anni dalla morte di Liam, non è ancora chiusa.