Il tribunale di Lecco
La pubblica accusa, oggi rappresentata in Aula dal viceprocuratore onorario Mattia Mascaro, ha chiesto la condanna dell'imputato a cinque anni di reclusione, oltre a una multa da 1.000 euro. Si avvia a volgere al termine – con prossima udienza fissata per il 21 febbraio per repliche e sentenza – il processo a carico di Domenico Rosello, pregiudicato lecchese finito nuovamente dinnanzi ad un giudice – la dottoressa Giulia Barazzetta – con l'accusa di estorsione nei confronti di un barista con attività in città. Quest'ultimo, costituitosi parte civile per il tramite dell'avvocato Davide Minervini, rendendo testimonianza in apertura dell'istruttoria, aveva spiegato di aver inizialmente concesso dei piccoli presti – nell'ordine di venti o trenta euro a volta – al conoscente, compagno di una sua amica, con l'intenzione di aiutare la coppia nell'arrivare a fine mese. Data una mano, l'imputato avrebbe – a detta del denunciante - preteso anche... il braccio. Le richieste di denaro si sarebbero fatte infatti non solo più consistenti e frequenti ma anche intimidatorie. Se le minacce, come sottolineato dal legale del barista in discussione, anticipando le considerazioni sul punto della difesa, per un soggetto tipo possono anche sembrare non così “scalfenti”, sarebbero però andate a toccare “nervi scoperti” della vittima, intimorita dalla possibilità di veder intaccati il proprio lavoro e la propria famiglia, all'oscuro di tutto. Tra i 15 e i 17.000 euro la somma complessivamente elargita al Rosello, che non avrebbe esitato a inviare all'esercente foto scattate fuori dalla sua abitazione o al bar in sua assenza, per spingerlo a versagli quanto di volta in volta chiesto.
Convinto che il dibattimento non abbia chiarito come effettivamente siano andati i fatti l'avvocato Paolo Rivetti. Nella propria arringa il difensore ha sottolineato come alla denuncia si sia arrivati solo dopo l'intervento della Polizia che avrebbe convocato il barista chiedendo spiegazioni circa la presenza nel suo locale dell'imputato. “Non è stato lui ad andare in Questura. Non era spaventato” la conclusione della toga, rimarcando come in fase d'indagine il PM titolare del fascicolo abbia chiesto per ben due volte la custodia cautelare per il suo assistito, richiesta rigettata in entrambe le occasioni dal GIP, non ravvisando dunque le condizioni per adottare un provvedimento del genere.
“Rosello è quello che un tempo di definiva Ciccio Pasticcio, non uno che fa paura” si è spinto a sostenere l'avvocato, rimarcando altresì come il suo cliente abbia più volte manifestato l'intenzione comunque di restituire al suo denunciante il denaro ricevuto, con quest'ultimo che avrebbe in tal senso coinvolto anche la madre dell'imputato per sanare la posizione debitoria del figlio. Evidenziando tutti i suoi dubbi dal punto di vista del dolo, Rivetti ha chiesto l'assoluzione di Rosello, non presente personalmente al cospetto del giudice Barazzetta che ha differito, come detto, al 21 febbraio la sua decisione.