Olginate, fallimento Maggi Group: prime battute al processo per il crac, in Aula il curatore
La sede della Maggi Catene a Olginate, in una foto scattata durante
un presidio dei lavoratori prima del fallimento
un presidio dei lavoratori prima del fallimento
Maggi Group è fallita, a detta del professionista, schiacciata da “una posizione debitoria insostenibile, risalente a ben prima della proposta di concordato”. Una situazione che, negli anni, si sarebbe incancrenita, peggiorando dopo l'operazione di fusione per incorporazione della Maggi Catene (la società operativa) nella Maggi Group e dunque nella holding alla quale erano già state ricondotte altre imprese di famiglia, nel tentativo di salvare il salvabile, procrastinando la “fine” nella speranza di poterne uscire in altro modo.
All'attenzione della Procura sono finite una serie di operazioni per oltre 20 milioni, contestate a Giuseppe – Pino – Maggi quale presidente della società (tra le altre cose, la fusione stessa e la sopravvalutazione delle rimanenze di magazzino) nonché compensi in favore degli amministratori per circa 2 milioni di euro, con le accuse estese poi a Corrado Maggi per il periodo nel quale ha retto l'azienda e dunque da fine 2017 quando assunse la carica di amministratore delegato a garanzia dell'iter concorsuale in quel momento in definizione, in assenza del padre, “fermato” da problemi di salute dopo aver gestito “da padrone”, da sempre, gli affari societari.
Il dr. Giombelli parrebbe non avere dubbi nell'addossare all'intero CdA il peso delle decisioni prese ma a processo, dopo il patteggiamento del padre, resta solo l'ingegner, colui il quale “si è preso la responsabilità di tutti, di tentare il risanamento” come gli ha riconosciuto anche il curatore, addentratosi – su stimolo del sostituto procuratore Paolo Pietro Mazza – anche in una valutazione degli emolumenti e dei benefit assicurati ai membri del consiglio, giudicati non spropositati ma quantomeno stonati rispetto alla situazione dell'impresa.
Curioso invece il nodo di un ipotetico magazzino in Cina – mai rendicontato – emerso a seguito della revisione affidata alla Deloitte in fase di richiesta di concordato, stimato per 2.6 milioni ma poi mai monetizzato, come pure la supposta sopravvalutazione di altro materiale per 3 milioni di euro, classificato prima come appunto “magazzino” e dunque merce per poi diventare beni strumentali.
L'istruttoria proseguirà ora il prossimo 10 marzo quando l'imputato potrà personalmente far chiarezza sulle contestazioni formulate a suo carico. Seguirà l'escussione del consulente della difesa. Il 5 maggio infine saranno sentiti i testi residui passare probabilmente già in quella data, poi, alla discussione.
A.M.