In viaggio a tempo indeterminato/209: semplice come pane, burro e zucchero

Le mappe di Google, in Albania, sono diventate per noi come uno di quegli anagrammi della settimana enigmistica.
Leggiamo il nome di una città sulla guida e poi dobbiamo trovare la traduzione in italiano o in albanese, o in inglese.
Valona in realtà è Vlora.
Croia è Kruja.
Durazzo è Durres, Argirocastro è Gjirokastër... ma la mia preferita è Santi Quaranta che in albanese si chiama Sarandë.
Ne vien fuori una certa confusione quando si deve decifrare la mappa o chiedere indicazioni.
Tutta colpa della Repubblica di Venezia che controllava tutta la costa adriatica.
Molti nomi delle città albanesi derivano dal latino o dal greco e venivano usati dai cartografi per la realizzazione delle mappe nella loro forma volgare più semplice.
Questi nomi, quindi, si diffusero diventando poi i nomi ufficiali.

Ma c’è un nome che è semplice da ricordare e che, in albanese o italiano, è praticamente lo stesso.
Si tratta di Berat, uno di quei paesini che sembrano la versione in 4D di un presepe.
La città dalle finestre sovrapposte, così è chiamata.
E in effetti, appena ci si arriva sembra davvero che qualcuno abbia incollato delle case bianche con molte finestre sul lato di una montagna.
Quelle casette sembrano fissarti, come se fossero dei guardiani che proteggono il castello che si affaccia maestoso sullo sperone di roccia sovrastante.

VIDEO: 


Ne abbiamo viste parecchie di cittadine in questi quattro anni in viaggio, ma Berat è una di quelle che sembrano avere un qualcosa in più e che alla fine lasciano un dolce ricordo.
Più che dolce in questo caso direi fritto, grazie alla signora del piccolo ristorante dentro la fortezza.
Ci siamo capitati per caso e ci è bastata un’occhiata per capire che era il posto giusto.
“Italiani? Ah io e mio marito parliamo italiano!”
“Buongiorno!” Si affaccia un signore sulla settantina dalla cucina.
E in quel momento mi rendo conto che stiamo entrando in casa loro, più che in un ristorante.
“L’abbiamo imparato con la televisione. Sedetevi al piano di sopra c’è una bella vista!”
Ed è così che è cominciato uno dei pranzi migliori che abbiamo fatto in Albania.
Abbiamo ordinato due piatti e ci siamo ritrovati a mangiare altre due pietanze extra.
“Questo è un regalo, perché qui siamo come in famiglia” continuava a ripetere la signora mentre ci serviva al tavolo.



Ah quanto è buono il cibo albanese!
Da quando siamo qui abbiamo smesso di cucinare e mangiamo sempre fuori, anche perché a fare la spesa al supermercato si spende di più che a pranzare al ristorante.
Mi sono resa conto che finora dell’Albania ho raccontato della follia del periodo comunista, dell’amore per l’Italia, della gentilezza delle persone...ma della cucina no, di quello non ho ancora detto nulla.
E siccome mangiare è uno dei piaceri della vita, mi sembra il caso di fare una parentesi.
La cucina albanese è un po’ come la sua gente, sostanziosa, semplice e genuina.
Sono piatti che ti mettono il sorriso perché ti fanno sentire il calore di casa.
A me danno la stessa sensazione che mi dava il profumo di sugo quando mi svegliavo la domenica mattina.
In Albania si possono distinguere 3 cucine regionali.
Quella settentrionale, più montana e rurale con al centro la carne accompagnata da patate, carote, fagioli e cavoli.
Quella centrale o costiera con influenze mediterranee.
Quella del sud, dove a farla da padrone sono i latticini, gli agrumi e l’olio d’oliva.
La cucina albanese non è di certo rinomata, forse perché è diretta e punta più alla sostanza che alla forma.
Ed è questo quello che mi piace di più di questo Paese.
Il fatto che non cerchi mai di apparire quello che non è.
Mi sono resa conto che questo viaggio in Albania mi sta affascinando tanto proprio perché risveglia in me delle sensazioni semplici. Le stesse che provavo da bambina quando sgranocchiavo il pane abbrustolito sulla stufa a legna e spalmato di burro e zucchero. Era una delle cose più semplici ma a me faceva spuntare il sorriso.
Angela&Paolo
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