Lecco: presentato lo speciale di 'Meridiani Montagne' dedicato a Cassin, con la nipote Marta

«Vai in montagna e trovi una via Cassin. Vai in giro e senti parlare di Riccardo Cassin. E ti dici: “E’ il nonno”. Ed è una cosa che non ci porta via più nessuno». Parola di nipote. Ricordare l’alpinista lecchese è anche questo: la sensazione di una ragazza al cospetto di un’indiscussa grandezza, un turbinio di emozioni. Già, il nonno. Che è stato più nonno che papà, anzi più bisnonno. Che ai piccoli di famiglia insegnava da una parte le tabelline e dall’altra a usare la carabina. Il ricordo personale della nipote Marta Cassin che ora si occupa della Fondazione intitolata appunto al “nonno” offre la misura dello sguardo che il monografico della rivista “Meridiani Montagne” rivolge al rocciatore «che ha inventato l’alpinismo moderno», come ha detto il direttore Paolo Paci.

La copertina del volume



Il numero – il terzo di una trilogia dedicata ai “mostri sacri” degli anni Trenta del Novecento: Giusto Gervasutti, Emilio Comici e appunto Cassin – è stato presentato ieri sera a Palazzo delle paure con l’intervento, oltre che di Paci e di Marta Cassin, anche degli altri autori che hanno contribuito al volume: la giornalista Anna Masciadri, lo storico Alberto Benini, gli alpinisti e scrittori Eugenio Pesci e Alessandro Gogna. Un libro il cui intento è quello di andare oltre quello che è già stato scritto «per scoprire le radici storiche, personali, intime, il lato inedito dello scalatore che fu anche imprenditore, la vita famigliare».


Marta Cassin

La biografia di Cassin, come ha detto Masciadri, è la storia del Novecento: nato nel 1909 a San Vito del Tagliamento nella pianura friulana, arrivò a Lecco nel 1926, diciassettenne, in un periodo in cui la città viveva un autentico boom industriale. Subito a lavorare in fabbrica, quindi, ma ci fu anche la scoperta della montagna. Furono il suo titolare e un paio di colleghi a portarlo un giorno sul Resegone: si mise dieci panini nello zaino e se li mangiò tutti prima d’arrivare in cima, ma venne soprattutto contagiato dalla “malattia” della montagna che sarebbe stata la sua vita. Vennero poi gli incontri con Mary Varale, con Emilio Comici. E tutto il resto: decenni di imprese. Montagna come vita anche dal punto di vista professionale, non facendo da guida alpina come molti altri, ma creando quell’azienda che produceva articoli sportivi, con quel marchio chiamato confidenzialmente "biscotto", che è una stilizzazione della firma. In tutto cent’anni di vita. Intensa. «E anche negli ultimi tempi – ha ricordato Pesci – ciò che mi impressionava era la sua capacità di ricordare i particolari di tutte le vie in Grigna, non solo le sue. Fino alla fine, nei momenti di lucidità aveva una memoria prodigiosa».


Alberto Benini e Alessandro Gogna

E il rapporto di Cassin con le Grigne è un altro degli aspetti messi a fuoco: «Oggigiorno forse non lo si ricorda abbastanza – ancora Pesci – ma negli anni Trenta la Grignetta era ai vertici dell’alpinismo, era un grande laboratorio, metteva alla prova tecnicamente ed atleticamente». Non è stato quindi certamente un caso che chi sia cresciuto tra queste guglie sia poi stato protagonista di grandi imprese anche al di fuori dei confini lecchesi.



Aveva, Cassin, un modo di vivere la montagna colmo di affetto. Per le cime e per gli alpinisti. Se Pesci conserva il ricordo di un incontro lungo il sentiero per la Rosalba con un Cassin già avanti d’età che, armato di piccone, s’era messo a sistemare il sentiero, per Gogna è invece indimenticabile il giorno in cui con altri alpinisti aveva ripetuto la via Cassin sulla Nord Est del Badile e il buon Riccardo volle incontrarli: «Dava fiducia ai giovani ed è in questo che si riconoscono i grandi. Perché noialtri tutti la chiediamo spesso, ma siamo diffidenti nel darla e difficilmente la diamo». Al netto della schiettezza per la quale - è stato ricordato – era solito liquidare certi tentennamenti dei compagni d’avventura con un «se non sei capace stai a casa».
Secondo Benini, inoltre, Cassin è stato aiutato a emergere nel mondo alpinistico nostrano, che vedeva molti fortissimi arrampicatori, anche dal fatto di «non essere di qua» e quindi di riuscire a «mantenere uno sguardo dal di fuori». Osservazione chiarissima per chi conosce la chiusura dei lecchesi.



Si è parlato anche del partigiano, del medagliato dal regime che l’8 settembre decise di unirsi alla Resistenza con la brigata rocciatori specializzata nell’andare sui monti a recuperare le armi e l’altro materiale lanciato dagli Alleati per rifornire le bande. Con qualche leggenda, come la forma di formaggio che, paracadutata ai Resinelli, arrivò direttamente a Lecco rotolando giù per la Val Calolden.


Anna Masciadri, Paolo Paci, Eugenio Pesci

E c’è stato anche tempo di parlare della Fondazione Cassin voluta dallo stesso Riccardo, timoroso che il proprio patrimonio documentale andasse perduto. E la cui catalogazione è iniziata con l’alpinista ancora in vita. Per il momento, è stata digitalizzata la maggior parte delle fotografie e delle diapositive, ma ancora mancano tutti i filmati realizzati con le tecniche evolutesi e cambiate nel corso del tempo.
D.C.
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