Castello: presentato il libro su Casa Arrigoni-Secchi, scenario di intricate e affascinanti vicende

Per adesso è stato rifatto il tetto che è costato 85mila euro, una spesa coperta grazie al contributo di alcuni benefattori. Ora si recupererà il portone ligneo, ma successivamente si dovrà mettere mano alla facciata e agli altri lavori. Per i quali il parroco di Castello don Mario Fumagalli si dice fiducioso, ma per spese e tempi si è costretti a fare i conti con non poche incertezze. Di fatto, però, il "restyling" di casa Arrigoni-Secchi è all’ordine del giorno. Si tratta del palazzo di via monsignor Moneta che ospita i locali dell’oratorio e che è conosciuto e apprezzato soprattutto per il grazioso balconcino che è un esempio di barocchetto lombardo che ha pochi eguali nel nostro territorio.



Se ne è parlato ieri sera al cine-teatro Palladium in occasione della presentazione del libro dedicato proprio all'edificio settecentesco, "una polifonia di storia, arte, industria e tradizione benefica” come recita il sottotitolo, il cui progetto di restauro coinvolge la parrocchia di Castello e il FAI.


Francesco D'Alessio e Gaetana Santini



Gli ingegneri Francesco Parolari e Remo Meschi

Alla serata, condotta dalla giornalista Maura Galli, sono intervenuti il parroco, la capodelegazione del FAI Gaetana Santini, il soprintendente alle Belle arti per la zona lecchese Matteo Sintini, gli autori del libro e i professionisti coinvolti nella progettazione degli interventi: lo storico Francesco D’Alessio, gli architetti Eugenio Guglielmi e Silvana Sacaremelli, gli ingegneri Remo Meschi e Francesco Parolari. Negli intermezzi, la flautista Carola Dell’Oro ha eseguito brani musicali del Settecento, il secolo in cui ha preso forma il palazzo di Castello anche se i lavori erano cominciati nel 1696 per iniziativa del notaio Salvatore Arrigoni che in quel modo voleva attestare l’importanza assunta dalla propria famiglia e nel contempo ostentare un non indifferente benessere in un momento di congiuntura economica complessiva sfavorevole.



E’ stato lo storico D’Alessio a raccontare le vicende del palazzo e delle persone coinvolte. Vicende intricate e affascinanti, che chiamano in causa i diversi rami della famiglia Arrigoni – all’epoca d’indiscussa importanza e ora ormai scomparsa – che aveva le proprie radici a Castello, ma anche i Manzoni valsassinesi, compreso il Pietro del Caleotto, padre dell’Alessandro. E la villa Brini e storie di rovine economiche e altre di successi. E lasciti, preti molto furbi, gatti maltrattati.



Per quanto riguarda la casa di via Monsignor Moneta, come detto fu il notaio Salvatore Arrigoni ad acquistare l’edificio probabilmente di origini cinquecentesche da Francesco Spini, imprenditore del rame, ed effettuando una serie di opere di rinnovamento che riguardarono anche la zona circostante «in un intervento – ha detto D’Alessio – che oggi sarebbe definito di rigenerazione urbana». Con le chicche artistiche della balaustra dello scalone e appunto del balconcino sulla strada. Oltre a un finestrone che faceva da quinta all’atrio d’ingresso e che nel 1931 venne collocato nel cortile di Palazzo Belgiojoso dove ancora si trova, con la speranza che possa essere riportato nella sua originaria sede, proprio in occasione del restauro conservativo del palazzo. Davanti alla casa si apriva un viale che scendeva fino al corso del Gerenzone, un viale che oggi si può intuire accanto a una palazzina di abitazioni, un tempo mulino degli stessi Arrigoni.




Di erede in erede, l’edificio restò a quest'ultima casata fino al 1842 quando venne venduto ai Secchi di Lierna, imprenditori serici. La loro ultima discendente fu Isabella, morta nel 1916. In quelle stanze aveva vissuto gli ultimi suoi anni in una solitudine addolcita dalle fusa di molti gatti. E mal ne venne agli scriteriati nipoti che un dì si divertirono a sigillare con la ceralacca certi orifizi felini: furono diseredati e il palazzo lasciato, con un testamento in verità un po’ sospetto, direttamente al parroco don Giuseppe Pozzi che a sua volta lo affidò al coadiutore don Giovanni Tocco, personaggio pare un po’ spregiudicato visto che in casa Secchi-Arrigoni aprì anche un teatro per intrattenimenti non certo devozionali. Vi fu un lungo contenzioso con la Curia che si concluse soltanto nel 1931, l’anno in cui vennero effettuati i primi sciagurati lavori di recupero, in occasione dei quali venne appunto smantellato il finestrone dell’atrio. Negli anni tra i Cinquanta e i Sessanta dello scorso secolo le ultime disastrose opere di ristrutturazione che portarono all’abbattimento di una parte del vecchio edificio.


Don Mario Fumagalli e Matteo Sintini



Ora, lo stabile è più che ammalorato e la parte più critica è proprio quella centrale dove si apre il portale sormontato dal balconcino che rischia di crollare. In quel punto saranno necessari interventi particolari per salvare lo stesso balconcino ma anche per il consolidamento statico complessivo visto che l’arco d’ingresso – realizzato in un pezzo solo senza chiave di volta centrale - in questi secoli ha risentito non poco delle forze di scarico dei pesi della struttura.
Come detto, si è cominciato dal tetto e ora si metterà mano alla sistemazione del portale ligneo che sarà restaurato in contemporanea con i sette ingressi della chiesa parrocchiale, per una spesa complessiva di 24 mila euro, metà raccolti con offerte (e anche a questo è destinato il libro) e gli altri messi a disposizione dalla Fondazione comunitaria del Lecchese.


L'architetto Silvana Scaramelli


Carola Dell'Oro



Successivamente si dovrà pensare alla parte più impegnativa dell’intervento e, a questo proposito, si vorrebbe addirittura partire entro la fine dell’anno anche per poter beneficiare dei bonus fiscali decisi dal Governo e che già con il 2022 potrebbero essere meno sostanziosi. Tra l’altro, proprio per la complessità del progetto, molti interventi necessari potranno essere individuati solo a cantiere aperto.
La volontà, tra l’altro, è quella di coinvolgere l’intera comunità. Di Castello e non solo. Anche con l’organizzazione, come sarà possibile, di visite guidate. Perché casa Arrigoni-Secchi possa essere avvertita come patrimonio di tutti.
D.C.
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