Valmadrera: due imprenditori a giudizio per dichiarazioni dei redditi 'infedeli', assolti

Il Tribunale di Lecco
Assolti perché il fatto non sussiste. È questa la sentenza pronunciata questa mattina dal giudice Nora Lisa Passoni nei confronti dei fratelli Pasquale e Gianfranco Vassena, soci dell’omonima srl di Valmadrera, già balzata agli onori della cronaca per un'inchiesta della Guardia di Finanza incentrata sull'illecita compravendita di materiale ferroso. I due, difesi dall’avvocato Stefano Pelizzari del foro di Lecco, si sono trovati a processo per “dichiarazione infedele” ai sensi dell’articolo 4 della legge sui reati tributari che punisce “chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti”. In particolare i due erano accusati di aver presentato dichiarazioni dei redditi ben inferiori al presunto reale, grazie a flussi di denaro "in nero" provenienti dalla commercializzazione di rottami. Denaro poi in parte, sempre secondo l'accusa, distribuito - assieme alla sorella Maria Rita, per cui gli atti sono stati trasmessi al Tribunale di Como per competenza territoriale, essendo residente in quella provincia-  fra i soci. L'annualità fiscale contestata è il 2013.
Durante il dibattimento un funzionario dell’Agenzia delle Entrate aveva spiegato che Pasquale (classe 1963) aveva dichiarato poco più di 110mila euro, mentre in realtà avrebbe dovuto indicarne circa 720mila; stesso discorso per Gianfranco (classe 1959), dunque versando una maggiore imposta quantificata in circa 270mila euro per ognuno.
Tutto il processo però si è incentrato sui costi in capo all’azienda derivati dalla compravendita del ferro in nero. La sorella degli imputati Maria Rita aveva quantificato in un margine di circa del 10% del lamierino non lavorato movimentato irregolarmente e del 35% se lavorato. Utilizzando queste percentuali perciò si sarebbe arrivati, secondo i calcoli fatti dal consulente della difesa, a massimo 24mila euro di Irpef non dichiarata qualora fosse movimentato lamierino non lavorato e 68mila euro in caso di materiale lavorato. Stessi margini li aveva enunciati in altra udienza la figlia di Gianfranco, anch’ella chiamata a testimoniare, che ha inoltre aggiunto - come fatto anche dalla zia - come quei ricavi venissero re-investiti per comprare altro materiale invece di distribuirlo tra i soci, facendo rimanere quella liquidità, di fatto, “in azienda”.
Lo scorso settembre la Vpo Caterina Scarselli ha chiesto al giudice di assolvere entrambi gli imputati perché il fatto non costituisce reato in quanto il dato “costi” sia rimasto incerto e, in campo penale, vale la formula “in dubio pro reo”. Ha chiesto invece l’assoluzione con formula piena - ovvero perché il fatto non sussiste - il difensore Stefano Pelizzari, motivando la sua richiesta facendo leva sulla mancanza di prove e sul fatto che, considerati i margini di guadagno del materiale ferroso, l’eventuale ammontare fosse ben al di sotto delle soglie di punibilità previste dall’articolo 4 contestato ai due fratelli.
E “fatto non sussiste” è stato.
B.F.
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