Valmadrera: due imprenditori a giudizio per dichiarazioni dei redditi 'infedeli', assolti
Il Tribunale di Lecco
Durante il dibattimento un funzionario dell’Agenzia delle Entrate aveva spiegato che Pasquale (classe 1963) aveva dichiarato poco più di 110mila euro, mentre in realtà avrebbe dovuto indicarne circa 720mila; stesso discorso per Gianfranco (classe 1959), dunque versando una maggiore imposta quantificata in circa 270mila euro per ognuno.
Tutto il processo però si è incentrato sui costi in capo all’azienda derivati dalla compravendita del ferro in nero. La sorella degli imputati Maria Rita aveva quantificato in un margine di circa del 10% del lamierino non lavorato movimentato irregolarmente e del 35% se lavorato. Utilizzando queste percentuali perciò si sarebbe arrivati, secondo i calcoli fatti dal consulente della difesa, a massimo 24mila euro di Irpef non dichiarata qualora fosse movimentato lamierino non lavorato e 68mila euro in caso di materiale lavorato. Stessi margini li aveva enunciati in altra udienza la figlia di Gianfranco, anch’ella chiamata a testimoniare, che ha inoltre aggiunto - come fatto anche dalla zia - come quei ricavi venissero re-investiti per comprare altro materiale invece di distribuirlo tra i soci, facendo rimanere quella liquidità, di fatto, “in azienda”.
Lo scorso settembre la Vpo Caterina Scarselli ha chiesto al giudice di assolvere entrambi gli imputati perché il fatto non costituisce reato in quanto il dato “costi” sia rimasto incerto e, in campo penale, vale la formula “in dubio pro reo”. Ha chiesto invece l’assoluzione con formula piena - ovvero perché il fatto non sussiste - il difensore Stefano Pelizzari, motivando la sua richiesta facendo leva sulla mancanza di prove e sul fatto che, considerati i margini di guadagno del materiale ferroso, l’eventuale ammontare fosse ben al di sotto delle soglie di punibilità previste dall’articolo 4 contestato ai due fratelli.
E “fatto non sussiste” è stato.
B.F.