In viaggio a tempo indeterminato/207: qui si parla italiano

"Albania: la terra dell'alba. Sono stati gli italiani a darle questo nome, perché guardandola dall'Italia da qui sorge il sole".
Wow, penso io, mentre ascolto quel ragazzo poco più grande di me che ci ha fermato in mezzo alla piazza di Tirana per raccontarcelo.
In effetti era da quando siamo entrati in questo Paese che mi stavo chiedendo il perché di questo nome.
La spiegazione del ragazzo, però, non è corretta ma non per questo non ha un suo fascino.
Albania deriva da "ar" che significa oro e "bane" (fare) e fa riferimento al fatto che queste zone fossero ricche di metalli preziosi.
Il nome albanese, invece, è Shqipëria e letteralmente significa "paese delle aquile" perché le sue montagne, coperte di fitte foreste, sono l'habitat ideale per l'aquila reale.
Shqipëria e Albania sono due parole completamente diverse ma in entrambi i casi sono associate alla natura, padrona indiscussa di queste terre dove vivono poco meno di 3 milioni di persone.

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A stupirmi però, in quell'incontro in piazza, non è stata soltanto la poetica spiegazione del nome, ma anche il fatto che quel ragazzo parlasse perfettamente italiano.
E da quando siamo entranti in Albania sono moltissime le persone che abbiamo incontrato e che per svariati motivi parlano italiano.
Il primo è stato Jimmy, il suo vero nome è un altro ma tutti in Italia lo chiamavano così.
16 anni passati a Roma, aveva un'azienda di ristrutturazioni.
Ora è tornato in Albania e mentre ci prepara un delizioso panino, si scusa timido perché si sta dimenticando l'italiano.
"I miei nipoti" racconta "non parlano albanese e io ormai l'italiano lo parlo solo con loro al telefono, me lo sto dimenticando!".

In un negozio di dolci, invece, incontriamo una simpatica signora sulla cinquantina.
Ha un sorriso dolce, almeno quanto le caramelle che ci offre mentre chiacchieriamo.
Il suo nome è Flutura, che in albanese significa farfalla.
Il suo italiano è semplice ma efficace.
"Hai vissuto in Italia?" Le chiediamo.
"No, risponde lei, non sono mai uscita dall'Albania".
"L'hai studiato a scuola?"
"No, no! L'ho imparato guardando la televisione. Durante il comunismo non potevamo uscire ma riuscivamo, spostando l'antenna, a ricevere i canali della Rai.
Ho imparato l'italiano guardando Raffaella Carrà, Loretta Goggi e Pippo Baudo!".
Wow, quando si dice che la TV ha un ruolo educativo forse si intende questo perché Flutura del suo italiano si vede che ne va orgogliosa.
Un po' come la ragazza che lavora in pasticceria e che, grazie ai cartoni animati di Holly e Benji, riesce a raccontarci perfettamente delle bellezze della sua città.
E io che pensavo che da quel cartone animato si potesse solo imparare  che i campi da calcio in Giappone sono lunghi km e km!
Lo so, tutti gli incontri che abbiamo fatto finora sono avvenuti in luoghi dove si mangia. L'abbiamo sempre detto che per capire a fondo un Paese devi conoscerne bene anche la sua cucina. Ok, questa è anche un po' una scusa per due come noi  che amano mangiare.
La realtà è che ancora non mi sono abituata al fatto di trovarmi in un Paese, diverso dall'Italia, dove le persone parlano la mia stessa lingua.
Ma la cosa che mi lascia più sorpresa è che, non solo sono molto fieri e orgogliosi di parlare italiano, ma dimostrano anche un amore e fratellanza verso l'Italia che non credo di aver mai visto finora in nessuna altra parte del mondo.
Come se fossimo fratelli separati da una striscia di mare.
Tutti uniti dalla stessa passione per il calcio, le melanzane e il caffè espresso.

Devo essere sincera,  non me lo aspettavo proprio questo affetto sincero.
Perché io me li ricordo i discorsi in TV e tra le persone quando nel 1997 i telegiornali trasmettevano le immagini degli sbarchi delle persone emigrate dall'Albania.
Arrivavano imbarcazioni stracolme di gente, proprio come era già successo nel 1991.
Se ne andavano da un Paese distrutto da una dittatura comunista prima e da una guerra civile dopo.
E in Italia in molti, troppi, erano titubanti, scettici, preoccupati.
"Invasione"
"Diecimila profughi all'assalto"
"A Brindisi c'è l'inferno. Il governo italiano chiude le frontiere"
Questi alcuni dei titoli che si leggevano sui giornali in quegli anni.
Me la ricordo quella paura anche se ero bambina. Era nei discorsi delle persone quella diffidenza.
E, onestamente, ho sempre pensato che non avessimo riservato agli albanesi una grande accoglienza, nonostante fossero i nostri vicini di casa in difficoltà.
Per questo mi ha stupito molto l'affetto nei confronti degli italiani che abbiamo riscontrato in questi primi giorni in Albania.
Ma poi Paolo ha fatto una domanda a Gazi, un ragazzo incontrato davanti a un negozio di lampadine (no, stavolta niente cibo!).
"Come ti sei sentito quando sei arrivato in Italia? Ti hanno accolto bene o hai avuto problemi con le persone?"
"Sono stato trattato benissimo. Sono andato in Italia perché qui in Albania ci sparavano in strada. Sono arrivato con un gommone, ero giovane e volevo farmi una vita tranquilla. Volevo lavorare e avevo intenzioni serie e per questo sono sempre stato trattato molto bene dagli italiani. Qui in Albania amiamo gli italiani perché ci hanno aiutato quando eravamo in difficoltà e molti di noi hanno potuto costruirsi una vita serena, una famiglia. Ora in molti stanno rientrando in Albania ma non dimentichiamo."

Questi primi giorni nel Paese delle aquile, devo essere sincera, mi stanno facendo vedere anche l'Italia sotto una luce diversa.
Perché dietro quei titoloni di giornale che spaventano ieri come oggi, ci sono persone che credono in quella fratellanza e che aiutano chi è in difficoltà, che arrivi su un gommone dal Paese di fronte o a piedi senza scarpe da una terra lontana.
Angela (e Paolo)
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