Lecco Mountain Festival celebra Walter Bonatti con 'Fratelli si diventa'. E alpinisti del domani?

Dedicata a Walter Bonatti, a dieci anni dalla morte, la terza serata del “Lecco Mountain Festival”. Per l’occasione è stato proiettato il film “Fratelli si diventa” realizzato dal giornalista della Gazzetta dello sport Alessandro Filippini che ha documentato uno straordinario incontro tra Bonatti e Reinhold Messner. Tornati a rivedersi dopo circa quarant’anni di silenzio e un bel po’ d’incomprensioni.

Alessandro Filippini

E’ stato lo stesso Filippini a rievocare il riavvicinamento: lo spunto furono i cent’anni di Riccardo Cassin da festeggiare a Lecco, il 2 gennaio 2009. Cassin il quale, a Filippini che gli comunicava l’arrivo dei due ospiti, se ne è uscito con una domanda che la diceva lunga: «Da quando quei due si parlano?».
Poi, appunto, non solo “i due” si sono parlati, ma sono diventati fratelli. Perché, come recita il titolo del film, “Fratelli si diventa”. E «io ho due fratelli – dice Bonatti nella pellicola rivolgendosi a Messner – uno è Pierre Mazeaud e l’altro sei tu».

Mazeaud, per la cronaca, è l’alpinista francese tra i sopravvissuti con lo stesso Bonatti e con Roberto Gallieni alla tragica scalata del 1961 al Pilone Centrale del Freney sul Monte Bianco, quando morirono quattro compagni di cordata: tre francesi e il brianzolo di Villasanta Andrea Oggioni. Questa tragedia e il caso dei veleni seguiti all’ascesa del K2 nel 1954 segnarono non poco l’attività dell’alpinista lombardo e soprattutto i suoi rapporti con il mondo della montagna: per la prima, «se non ci fosse stato Mazeaud a difendermi dalle accuse, non so come sarebbe finita» e la seconda invece è una delle pagine più conosciute e vergognose della storia dell’alpinismo italiano e che ha visto la “riabilitazione” di Bonatti solo 54 anni dopo. Così, come Messner ha dovuto fare i conti con altri veleni del mondo alpinistico, quelli circolati dopo la morte del fratello Gunther nel 1970 mentre i due scendevano dal Nanga Parbat.

Walter Bonatti in un frame del film

Anche di questo si parla nel film. E di certe imprese, naturalmente. Ma sono accennate quasi di sfuggita perché il dialogo – una lunga chiacchierata nella casa di Bonatti a Dubino in Valtellina - è sul significato dell’alpinismo e sull’alpinismo tradizionale che cambia, sull’avventura, sulla paura e sul coraggio, sulla crescita interiore, sulle letture, sulla bellezza della montagna in solitudine ad affrontare con i propri mezzi la paura e i pericoli, avendo anche il coraggio di rinunciare e tornare a casa quando la parete o se stessi non sono pronti.

Reinhold Messner

Il film inizia proprio con le prime battute in casa Cassin, in quella festa dei cent’anni dove era davvero rappresentato un secolo di alpinismo e non certo alpinismo qualsiasi, ma i più grandi – ha detto Filippini – i capiscuola: Cassin negli anni Trenta, Bonatti negli anni Cinquanta e Sessanta e poi Messner. Dopo, chissà. Chissà se qualcuno raccoglierà ancora il testimone dell’alpinismo tradizionale, come si domandano a un certo punto il bergamasco-valtellinese e il sudtirolese.

Stefano Spreafico con Filippini

C’è poi, nel film, la festa per gli ottant’anni di Bonatti il 22 giugno 2010, con una torta a forma di K2 e ci sono i funerali del 17 settembre 2011 che la compagna Rossana Podestà volle fossero celebrati a Lecco, con la cerimonia laica a Villa Gomes e il maglione rosso dei “ragni” sulla bara. «Un momento – ha suggerito il conduttore della serata, il giornalista Stefano Spreafico – che forse andrebbe ricordato. Questa città che dice sempre di voler essere la città della montagna potrebbe in qualche modo ricordare, nel parco della villa di Maggianico, che lì venne dato l’addio a Walter Bonatti».

Ad arricchire la narrazione, i ricordi personali e le considerazioni di Messner all’indomani della morte dell’amico.
Un film fatto di tante parole, sgorgate naturalmente, senza interventi esterni. Parole che – ha sottolineato ancora Filippini - «sono un messaggio di amore per la natura e l’avventura» sulle quali occorre riflettere per «consegnare la montagna alle future generazioni» perché è ancora possibile «vivere in montagna, facendo a meno della città e questo periodo di covid ce l’ha dimostrato». Certo, i giovani che oggi si avvicinano all’alpinismo «partono svantaggiati: siamo nell’epoca della comunicazione immediata e allora si scala e si deve comunicare subito e non c’è il tempo per riflettere».
Lecco Mountain Festival si concluderà il 1° dicembre (alle 21 nell’auditorium della Casa dell’Economia in via Tonale) con la “prima” del film sui Ragni e l’assegnazione del Premio “Stile Alpino” per il quale sono candidate dieci imprese. Prenotazione obbligatori: info@leccomountainfestival.com.
D.C.
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