Ballabio, morte del piccolo Liam: la Procura chiede l'assoluzione dei genitori, accusati dell'omicidio del loro secondogenito

Il Tribunale di Como sede del processo
Nel riformulare, direttamente al cospetto della Corte d'Assise di Como, il capo d'imputazione, lo scorso 23 settembre l'allora procuratore capo facente funzioni di Lecco Cuno Tarfusser aveva bollato come "impossibile da provare" la precedente formulazione dell'accusa, aggiungendo anche un esplicito "non ci stava". A distanza di due mesi e due giorni, dopo la richiesta di rito abbreviato avanzata dalla difesa, la stessa Procura del nostro ramo del Lago, basandosi sui medesimi atti d'indagine che avevano portare ad "aggiustare il tiro" rispetto all'originale colonna vertebrale dell'impianto accusatorio, ha chiesto per entrambi gli imputati... l'assoluzione. Per il sostituto procuratore Chiara Di Francesco - trovatasi a trattare il suo primissimo caso di omicidio, avendo iniziato la sua esperienza da MOT giusto da qualche mese - i coniugi ballabiesi Aurora Ruberto (classe 1982) e Fabio Nuzzo (classe 1976) non sono da ritenersi responsabili della morte del loro secondogenito, il piccolo Liam, venuto a mancare il 15 ottobre 2015 a soli 28 giorni dalla venuta al mondo, al termine di una brevissima esistenza costellata da due accessi in ospedale - il primo per una caduta patita in casa e il secondo dopo la comparsa di rigonfiamenti sulla sua testolina – seguiti da altrettante dimissioni.

Alla corte - presieduta dalla dottoressa Valeria Costi, con giudici togati e giudici popolari - la giovane PM ha chiesto di mandare assolta la mamma del bebè "per non aver commesso il fatto" e il marito "perché il fatto non sussiste". Lei, nel dettaglio, è a processo quale presunta autrice materiale dell'omicidio, perché "utilizzando uno strumento contundente ovvero sbattendo la testa del figlio neonato perpendicolarmente su una superficie piana e rigida, produceva a questi fratture paritotemporali bilaterali simmetriche conseguenti ad una compressione-schiacciamento della volta cranica, da cui derivava uno stato di particolare debolezza e di immunodeficienza del neonato tale da favorire l'insorgere di una polmonite interstiziale che portava al decesso di Liam" come da nuovo capo d'imputazione.

Lui invece, "pur perfettamente consapevole delle reiterate condotte lesive e maltrattanti serbate dalla Ruberto verso Liam che hanno portato a ben tre ricoveri ospedalieri nel neonato nei suoi 15 giorni di vita, le tollerava pur avendo l'obbligo morale e giuridico di impedirle, così agevolando e comunque non impedendo le condotte della madre che hanno portato il figlio alla morte. Con l'aggravante di aver commesso il fatto ai danni del discendente”.

Se di primo impatto, la richiesta di assoluzione avanzata dalla Procura, dopo la formulazione di un'accusa tanto pesante, può sorprendere, è la genesi stessa del fascicolo approdato in Corte d'Assise a smontare l'effetto "bocca aperta". Già a suo tempo, il primissimo sostituto procuratore che si era occupato del caso, la dottoressa Cinzia Citterio poi trasferitasi a Monza, aveva chiesto l'archiviazione del faldone, dovendo poi procedere a imputazione coatta su disposizione del primo GUP interessato dalla vicenda. Sempre a Lecco, altro giudice, dopo aver disposto una perizia aggiuntiva rispetto a quella commissionata alla Procura, aveva decretato poi il "non luogo a procedere" nei confronti dei genitori del piccino. Una sentenza impugnata dalla Procura generale, convinta nella necessità di entrare nel merito della questione, con carte inviate dunque il Corte d'Assise a Como, competente per reati di tale portata. Oggi la discussione, in camera di consiglio, avendo optato la difesa, come detto, per il rito abbreviato e dunque per un processo basato sugli atti d'indagine.

Ai giudici le toghe lecchesi Nadia Invernizzi e Roberto Bardoni hanno chiesto l'assoluzione piena per i loro assistiti. Il 20 gennaio il verdetto.

A.M.
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