Lecco: per la prima volta in libreria 'Memorie di un gatto'. Scritto da Ghislanzoni nel... 1800

La copertina del volune
Torna in libreria un altro romanzo di Antonio Ghislanzoni e a pubblicarlo è ancora una volta la Polyhistor di Franco Minonzio, quale secondo titolo della collana di narrativa “Cose del mondo ignoto” che era stata inaugurata proprio all’inizio di quest’anno da “Un suicidio a fior d’acqua”, il romanzo tutto lecchese dello stesso Ghislanzoni. Vede ora la luce “Memorie di un gatto. Romanzo sociale” che sarà presentato venerdì 19 novembre alle 18 alla libreria “Parole nel tempo” di San Giovanni. Tra l’altro, si potrebbe quasi parlare di una prima edizione assoluta, non essendo il romanzo mai stato pubblicato in un libro unitario e a sé stante, ma soltanto a puntate una prima volta nel 1857 sulla rivista “L’uomo di pietra” (la quale a fine di quello stesso anno incluse l’opera in un volume natalizio con le altre pubblicate nei mesi precedenti) e una seconda volta nel 1865 sulla “Rivista minima” in una versione corretta. Che è, questa seconda, quella scelta per la nuova edizione da Minonzio. Il quale, oltre a esserne il diretto curatore e l’autore dei commenti ha voluto anche redigere un’appendice riportando pure i passi della prima versione laddove risultavamo modificati.
Di là dall’aspetto squisitamente editoriale, questo “Memorie di un gatto”, secondo Minonzio, offre l’opportunità di rivedere il giudizio sulla quale si è ormai da tempo accomodata la critica a proposito di Antonio Ghislanzoni, ritenuto un brillante giornalista, ma tutto sommato superficiale. Valutazione che proprio questo romanzo smentisce «contenendo un nucleo di riflessione filosofica» sul rapporto tra uomo e natura, tema tra l’altro di più che stringente attualità proprio ai giorni nostri.
Naturale (e «interessante») il confronto con l’opera di un alto scrittore peraltro anche medico, Giovanni Rajberti, che nel 1845 diede alle stampe “Il gatto. Cenni fisiologici e morali”. Che era però – sottolinea lo stesso Minonzio – una sorta di trattazione scientifica, tale la veste, per quanto umoristica. Ghislanzoni invece ha scelto il linguaggio del romanzo vero e proprio, con una riflessione sulla “bestia-uomo” che è feroce fin dall’infanzia.
«Del resto – aggiunge Minonzio – quello dei rapporti di Ghislanzoni con la tradizione letteraria italiana è un nodo che contraddice la sua immagine di autore dalla scrittura giornalistica e poco colta: su questo nodo, al contrario, soccorrono le note: da un uso parodistico di Dante e Tasso al calco su spunti offerti dalla linea lombarda tra ‘700 e ‘800, da Parini a Porta».
Sostanzialmente, in questo ghislanzoniano “romanzo sociale”, è proprio un gatto a raccontare ciò che vede. «Così un campionario di umanità squallida e vorace, sfila sotto il suo sguardo tagliente; una cuoca ladra e rabbiosa, un professore di lettere pedantissimo e sessuofobo travolto da una catastrofe colica, la sua attempata sposina, dalla bruttezza pavesata di protesi, l’intraprendente figlia dell’acquavitaio di Cassano d’Adda, sposata ad un vecchio e geloso marchese ma non disposta a rinunciare al primo amore».
A proposito, inoltre, della felice riscoperta di opere del Ghislanzoni ormai non più stampate, Minonzio non si sbilancia sui programmi futuri, limitandosi a dire che «l’attenzione per Ghislanzoni è viva, com’è viva per tutto il contesto scapigliato, da Cletto Arrighi a Igino Ugo Tarchetti. Posso valutare se dare un seguito o meno. Però, non vorrei che questa collana di narrativa fosse solo retrospettiva e si fossilizzasse sull’Ottocento. Vorrei anche pubblicare opere contemporanee…».
D.C.
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